Lui era un giovine ed avvenente ufficiale; lei una bellissima e buona fanciulla; entrambi appartenevano a due famiglie patrizie. Michele Delitala e Minnia Quesada si erano veduti ed amati. In lei l’amore era soave come la sua anima; in lui era ardente come il suo carattere; quello di Minnia era l’amore della domestica colomba; quello di Michele l’amore di un tigre nel deserto.
Si vedevano spesso; ed egli spesso frequentava la casa della fanciulla, della cui famiglia era amico. Se però i genitori di Minnia nutrivano della stima per Michele, non la nutrivano a segno da affidargli il destino della loro figliuola.
Un giorno Michele si fece coraggio e chiese per due volte alla madre la mano della fanciulla. La madre per due volte gliela ricusò recisamente, dicendo essere altra l’intenzione della famiglia.
Michele credette diventar pazzo. Era lontano dall’idea d’un rifiuto! Sentì il sangue salirgli alla testa, e uscì di casa in preda ad un’agitazione febbrile. Si diede a correre per le vie, come un forsennato, giurando in cuor suo di sterminar tutta la famiglia, ove non gli si fosse concessa la donna ch’egli adorava.
La mattina dei 30 Agosto 1854, si armò d’uno stile e di due pistole e corse alla casa Quesada con propositi feroci. Chi sa? Forse si era ingannato; forse la madre, pentita del rifiuto, aveva in animo di riparare alla sua durezza.
Suonò il campanello, e gli venne aperto. Per la prima gli si presentò la madre; a cui egli ripetè con calma la domanda. N’ebbe la stessa risposta; e allora, senz’altro, tolta una pistola la puntò verso di lei. La figlia Minnia, che vide il movimento, gettò un grido, e corse a mettersi dinanzi alla madre per salvarla. Il colpo partì, ed il piombo penetrò nel seno della fanciulla, verso la spalla. Né il pallore di Minnia, la quale vacillava, né il sangue che da lei usciva a fiotti bastarono a calmare il furore del tigre. Michele era cieco d’odio e di rabbia; e tratta la spada, ferì la madre, ferì la domestica che gridava al soccorso, fece altro sparo sul padre e sullo zio che erano accorsi al rumore, e poi tentò più volte di togliersi la vita.
La povera fanciulla, in mezzo a quel massacro, non faceva che correre dall’uno all’altro dei feriti, invocando da Dio soccorso per essi e dimenticando se stessa.
Tutta la città fu profondamente impressionata da questo tristo caso e compianse la povera fanciulla, tanto amata e stimata in paese per le rare doti di cuore e di mente. Ella sostenne con coraggio e rassegnazione lo strazio del coltello cerusico che le estraeva il piombo! – Tutti gli altri erano stati feriti, più o meno leggermente; a Minnia sola – a 19 anni e nel fior della bellezza – toccò scendere nelle ombre del sepolcro, compianta dall’intiera popolazione. Morì il 5 di Settembre, dopo sei lunghi giorni di spasimi, e dopo aver perdonato a lui – all’uomo che l’aveva colpita.
Michele fu subito arrestato; e, tre anni dopo scontò sul patibolo il suo atroce delitto.
***
Fin dalle prime ore del mattino del giorno 19 Maggio 1857, un’insolita moltitudine ingombrava la piazza Castello ed il Corso. Alle ore 5, un carro tirato da un cavallo usciva dalla gran porta del vecchio Castello; su quel carro scorgevasi un giovane di 32 anni con le braccia legate, al fianco di un prete che gli mormorava all’orecchio misteriose parole. Quel giovane dal volto pallido, dai baffetti neri, e dai capelli lunghissimi che gli ondeggiavano sulle spalle, era il Cav. Michele Delitala – l’uccisore dell’amante Minnia Quesada, e feritore della di lei famiglia. Erano già trascorsi quasi tre anni dal giorno del delitto, ed egli andava a scontare la pena sul campo di S. Paolo.
Al poveretto si era fatta sperare la grazia; e difatti gli stessi parenti si erano impegnati a fargliela ottenere, per risparmiare ad una famiglia patrizia la vergogna di un patibolo – di una forca.
Il valente avvocato Mancini chiese anch’egli la grazia sovrana; la quale venne persino pubblicata nel giornale Il Diritto. Tutto però fu inutile; la Costituzione aveva scritto sul nuovo codice: la legge è uguale per tutti – e giustizia doveva esser fatta coi mezzi usati per gli altri mortali.
Scoccando le ore sei il povero giovane pendeva dal patibolo, e il carnefice ballava sulle sue spalle la trista danza. Venne sepolto nel camposanto: fu questa l’unica grazia ottenuta da quel disgraziato!