Preludio
Mentre il partito pisano di Sassari andava sempre più indebolendosi, quello genovese maggiormente rafforzavasi. La repubblica di Genova tentava con ogni sforzo d’impadronirsi della città di Sassari, valendosi dell’influenza che vi esercitava, dopo il matrimonio di Andrea e Manuele Doria con le figlie di due Giudici turritani.
Tre convenzioni sono degne di essere ricordate. La prima è quella del 1283 tra la Repubblica di Genova e i due Vescovi di Bisarcio ed Ampurias (odierne diocesi di Ozieri e Tempio); i quali vescovi promettevano il loro aiuto ai Consoli genovesi, per far cadere nelle loro mani la villa e terre di Sassari. I sassaresi però non volevano sapere di Genova; anzi in quella circostanza cacciarono dalla città il loro cittadino Pietro Rimenato, poiché costui faceva propaganda in favore dei genovesi. Volendo vendicarsi dei pisani che in Sassari stanziavano, il Rimenato si fece capo di numerose soldatesche, e tentò con assalti improvvisi di danneggiare il paese e la campagna.
La seconda convenzione fu stipulata dopo la sconfitta che i pisani subirono nel 1284 alla Meloria per parte dei genovesi, e dopo che Benedetto Zaccaria, nell’anno medesimo, erasi mosso da Genova con trenta triremi per espugnare la città di Sassari. Con essa convenzione la repubblica di Genova prometteva ai discendenti di Andrea Doria la cessione dei loro beni nel Logudoro, nel caso che la città di Sassari venisse in suo potere – poiché Sassari (era detto nell’atto) doveva appartenere a Genova.
L’anno seguente (1287) si effettuò la terza convenzione tra Genova da una parte, e i prigioni col comune di Pisa dall’altra. Questi ultimi si obbligavano di consegnare alla superba rivale la città di Sassari e sue pertinenze, oltre le ville ed uomini di Romangia.
Il 15 Aprile 1288 erasi firmato l’atto di pace, per il quale i pisani si obbligavano (quanto al Logudoro) di cedere diverse fortezze, di reintegrare i Doria nel possesso dei loro beni, e di consegnare il Comune di Sassari colle sue giurisdizioni della Nurra e della Fluminaria.
La popolazione di Sassari non era però disposta alle cessioni, e lottava energicamente per mantenere la propria indipendenza. I partiti si accentuarono, ed in Sassari le lotte divennero accanite, poiché una buona parte dei sassaresi, i ghibellini (capitanati dal menzionato Pietro Rimenato) odiavano il guelfo partito pisano, anche per ragioni pubbliche e private. Questo partito, nondimeno prevaleva, nella città, poiché ai pisani (come più volte dicemmo) doveva la propria origine, le istituzioni libere e la lingua; ma i genovesi, più esperti, più intraprendenti, e sovratutto più ricchi, erano assai più forti dei pisani, per le relazioni coi Doria che nel Logudoro avevano accumulato ricchezze,
E la vittoria toccò finalmente al partito genovese ghibellino, il quale era riuscito ad occupare i seggi nel Consiglio, e a coprire le cariche più eminenti del Comune.
Le paci segnate il 15 Aprile 1288, per cui i pisani dovevano consegnare la città di Sassari ai genovesi, non erano state mantenute; le pratiche durarono un po’ alle lunghe, e la cessione della città non venne effettuata che sei anni dopo, nel 1294.
In Sassari, a cominciare dal 1290, prevalse la parte ghibellina; tuttavia non vi mancò il partito guelfo, poiché memore dell’antica sua indipendenza sotto la protezione pontificia (come dice il Tola) essa aspirava a riconquistarla, togliendola alla parte contraria. Ed al partito guelfo, negli ultimi tempi, apparteneva Guantino Catoni, come vedremo.
Atto di Confederazione
Nei primi due mesi del 1294 la città di Sassari aveva inviato a Genova cinque suoi cittadini, quali ambasciatori, procuratori, sindaci, e rappresentanti di Denetore Pala, Torgodorio Corda, Guantino Lovello e Nicolò Calderari – i quattro capitani del comune e del popolo sassarese. Lo scopo della missione era quello di stabilire i patti, per i quali la città di Sassari si costituiva in comune libero, alleato con la repubblica di Genova.
L’atto solenne, sottoscritto a Genova il 24 Marzo del detto anno 1294, venne riportato a Sassari dai cinque ambasciatori, e letto in pubblico nelle sale del palazzo comunale.
Curioso il fatto, che, fra i testimoni dell’atto sottoscritto in Genova, figura Bernabò Doria, figlio di quel Branca che fu l’assassino del suocero Michele Zanche.
Fra i patti inseriti nella convenzione, sono degni di rilievo i due seguenti: – l’invio di un podestà nativo di Genova, da rinnovarsi ogni anno – e la cacciata da Sassari in perpetuo, senza speranza di rientrarvi, di tutti i pisani nativi di Pisa o di quel distretto, che attualmente vi abitano; i quali, entro tre mesi dall’arrivo del primo podestà, dovevano vendere o alienare i loro beni a sassaresi o a genovesi. Queste due condizioni sono identiche a quelle contenute nell’antica convenzione con Pisa, nella quale erasi ordinato di cacciar via tutti i genovesi.
Altro patto notevole, introdotto nella convenzione del 1294 per volontà dei sassaresi, era questo: – la promessa di doversi rispondere in Genova a qualunque cittadino genovese che volesse vantar diritto sulle Curatorie di Nurra e Fluminaria. In questo patto il Ferretto vede chiara l’allusione al parricida Branca Doria e suoi fautori. Se ciò è vero, vorrebbe dire che alla maggior parte dei sassaresi spiacque il delitto commesso a danno del loro cittadino Zanche, condannato da Dante come barattiere.
Statuti di Sassari
I due esemplari originali degli Statuti (uno scritto in sardo e l’altro in latino) esistettero intieri negli Archivi comunali fino al secolo XVIII, e furono consultati dal Fara e dal Vico. Oggi si ha quasi completo l’esemplare in sardo, ma di quello in latino non si hanno che frammenti. Rimasero presso lo storico Manno, in Torino, per quasi un anno, e li restituì al comune nel 1826. In seguito li tenne presso di sé lo storico Tola per un decennio – fino cioè al 1850, anno in cui li trascrisse e li pubblicò in Cagliari.
Dal 1850 in poi si credettero smarriti; e fui io che li rinvenni nel 1879, fra le antiche carte dell’Archivio Comunale. Continuando le ricerche, rintracciai la famosa copia autentica di essi statuti, eseguita nel 1607, e sfuggita al Tola, che ne lamentò la mancanza nel 1850.
Rileggendo le deliberazioni della Giunta (chiamate allora Colloqui), venne a mia conoscenza, che anche i consiglieri del secolo XVII tenevano come prezioso tale documento, poiché in una seduta del 2 Settembre 1634 i Giurati deliberarono di darlo alle stampe, concorrendo nelle spese. Il proponimento non venne però tradotto in atto, né so dirvene la ragione: forse la somma raccolta non era sufficiente, ed il Viceré avrà proibito di ricorrere alla cassa comunale.
È probabile che la deliberazione sia stata presa dietro la proposta fatta dallo Stamento reale nel 1603: di tradurre cioè i diversi statuti dell’isola in lingua catalana o latina, per poi stamparli.
Da un’altra deliberazione del 1670, e da un brano del testamento del 1675-1676 risulta che i Consiglieri avevano consegnato 50 scudi al quondam Dottor Leon Sampero, perché li mandasse a suo fratello Lorenzo in Napoli por estampar los Estatutos di Sassari (obra que es tant utilosa); ma siccome la stampa non fu eseguita, stante la morte del dottor Leon, così si die’ incarico all’Oydor dei conti Francesco Sanna Piu di far ritenere la detta somma dal mandato.
Pregevoli studi vennero pubblicati in questi ultimi anni sugli statuti sassaresi, ed io li accennerò di volo.
L’avv. Pietro Satta Branca imprese a illustrarli con molta dottrina in un suo libro col titolo: Il Comune di Sassari nei Secoli XIII e XIV, pubblicato a Roma nel 1885.
Il dotto letterato Pier Enea Guarnerio li trascrisse e li pubblicò di nuovo (con un’interpretazione assai più corretta di quella del Tola) nell’Archivio Glottologico Italiano diretto da Ascoli (Torino 1892).
Anche i tedeschi Delius e Hofmann (il primo nel 1868 e il secondo nel 1885) avevano rilevato la importanza del Codice Sassarese.
L’avv. Giovanni Zirolía volle fare anche lui uno studio sopra una copia degli Statuti di Sassari estratta per Castelsardo fra il 1516 e il 1532. Nel suo lavoro, pubblicato nel 1890 col titolo: Estensione territoriale degli Statuti del Comune di Sassari, egli dimostrò, che durante la signoria aragonese e spagnuola essi statuti vennero anche estesi a Castelsardo, ad Alghero, a Bosa, e a quasi tutto il capo settentrionale dell’Isola – precisamente come in tutto il capo meridionale era estesa la Carta de logu di Eleonora di Arborea. – Io dico che anche in Sassari gli Statuti ebbero vigore per lungo tempo, fino allo scorcio del secolo XVIII, sotto la Casa di Savoia – specialmente per quanto concerneva l’ordinamento interno della città; i diversi capitoli si citavano spesso, ed io li trovo nei regolamenti di polizia del 1789-1790, in cui leggesi ogni tanto: in conformidade de sas ordinassiones et Statutos turritanos.
Il valente scrittore spagnuolo Edoardo Toda, rovistando fra gli scartafacci del nostro Archivio comunale, rintracciò nel 1892 altri frammenti del Codice latino, trascritto nel secolo XVII in libro a parte. Questi frammenti (nei quali sono 114 capitoli inediti) verranno quanto prima dati alla luce dal Prof. Vittorio Finzi, il quale ha già intrapreso la pubblicazione del Codice sassarese nell’Ateneo Veneto. Fra le altre cose, nel Cap. 121 leggesi, che il 15 Febbraio 1323 si ordinò che lo stesso capitolo (riguardante i Maggiori, i Giurati e gli uomini di Fluminargia, Solka, Eristola e Settepalme), dovesse essere osservato anche contro gli uomini della Curatoria di Bionis, nella Nurra.
Enrico Besta, dotto illustratore di cose sarde, ha pubblicato nel Febbraio del 1904 un opuscolo prezioso, col titolo Alcune leggi e ordinanze di Ugone IV di Arborea. In questo libro egli ha fatto una rivelazione di somma importanza. Una ventina di ordinanze in lingua sarda (inserite nei frammenti dei Capitoli in latino) vennero dal Tola e dagli altri storici credute emanate dal Comune di Sassari durante il dominio dei re di Aragona. Il Besta, all’incontro, a noi dice, che quelle ordinanze vennero dettate dal Giudice di Arborea Ugone IV, quando nel 1374 s’impadronì della città di Sassari, nella quale dominò per parecchi anni. Alcune righe raschiate a capo e a calce delle dette ordinanze (che il Tola, né altri seppero leggere) vennero dallo stesso Besta così interpretate: Nos Ugo per gratia de Deo Judiche de Arborea et Logodorij, et segnore de Sardinia. E così pure rilevò alcuni errori di data commessi dal Tola nella trascrizione del Codice.
Il Fara, fin dal 1580, aveva bensì scritto che il Giudice Ugone in Sassari leges, quae adhuc estant, dedit; ma nessuno sospettò che esse fossero state inserite negli Statuti. Lo stesso Tola notò, che le leggi di cui parla Fara non furono leggi nuove, ma confermate nel Codice sassarese. E s’ingannava!
Anche l’Angius (nell’articolo Logudoro, sfuggito al Besta) scrive che Ugone, nel 1377, promulgava a Sassari leggi stimate, poiché i sassaresi le mantennero in vigore anche dopo cessata la signoria Aragonese; ma non seppe indicarle.
Altra scoperta si deve al Besta. Nei margini di una pagina del Codice in latino è una dicitura raschiata, che il Tola non potè leggere. Il detto professore, per mezzo di un acido, riuscì a leggere un’aggiunta al Capitolo dell’eredità, fatta da Brancaleone Doria, marito di Eleonora di Arborea, durante gli anni che dominò in Sassari, dopo averla presa d’assalto.
Un errore ottantenne
Devo qui parlare di un’altra scoperta (perdonatemi la parola, che io non so sostituire) da me fatta il 1° Aprile 1904, per la quale pubblicai un opuscolo.
Tutti gli storici, dal Manno al Tola, dal Delius al Satta Branca, dal Bonazzi e dal Guarnerio al Zirolia, dal Besta al Finzi (e fra questi me compreso), hanno sempre scritto che gli Statuti sassaresi vennero promulgati nel 1316, sotto la podestaria di Cavallino de Honestis. Il Manno ed il Tola (e in seguito altri) affermarono pure che i codici vennero scritti originalmente in sardo, e poi tradotti in latino.
Orbene, tutto ciò è un grave errore propalato per oltre ottant’anni. Gli Statuti di Sassari vennero originalmente scritti in latino, e promulgati dal 1294 al 1295. La traduzione venne fatta (o trascritta in pulito insieme all’originale latino) nel 1316, sotto il podestà Cavallino.
Ciò stabilito, cadono tutti i ragionamenti dello storico Tola, il quale tentò dimostrare in modo assoluto, che nella città di Sassari, e in seno alle assemblee comunali e private, si parlasse in quei tempi la lingua sarda. Si parlava invece il sassarese (cioè a dire il pisano antico), ed i verbali si redigevano in latino, come ne è prova la sentenza del podestà Tano Badia De’ Sismondi nel 1283.
L’abbaglio avvenne per la parola promulgata, malamente letta dal Manno e dal Tola, e in seguito da tutti gli altri, che copiarono materialmente.
La seconda parte dell’introduzione in latino apposta al Codice sardo (nei frammenti latini manca il frontispizio) fu così letta e riportata dal Tola:
«…Haec sunt capitula statuta et ordinamenta, scripta et exemplata, promulgata tempore nobilis viri domini Cavallini de honestis legum doctoris potestatis Sassari… Dominicae Incarnationi anno millesimo trecentesimo sexto decimo, Indictione quartadecima».
Fermando l’occhio per caso sulla parola promulgata, mi accorsi che la lettera p era un po’ dubbia, e che la quantità delle altre lettere era insufficiente a completare la parola. Sulle prime credetti aver trovato la chiave, convinto che il Manno ed il Tola avevano interpretato la lettera p come abbreviazione di pro, e con le altre lettere avevano formato la parola mulgati, sostituita con un promulgata in omaggio alla grammatica latina. In seguito però mi accorsi che la lettera p era una illusione ottica, prodotta da un j e dalla prima gamba dell’n che gli stava vicina. La parola diceva in vulgari – e in vulgari infatti leggesi nella copia autentica degli Statuti, eseguita per la Romangia nel 1607, e nell’altra per Castelsardo della metà del secolo XVI.
La versione vera dell’ultima parte della introduzione del Codice sardo è questa:
«Haec sunt capitula statuta et ordinamenta scripta et exemplata in vulgari, tempore Cavallini de honestis… potestatis Sassari… nell’anno 1316».
Di promulgazione, dunque, il Codice non parla affatto; ma parla di traduzione in sardo sotto il podestà Cavallino.
Lo scambio di questa parola ha tutti ingannato per lo spazio di 80 anni, ed ha dato maggiore luce agli Statuti, sfatando la leggenda messa in giro dal Tola (che in Sassari nel secolo XIII si parlasse da tutti la lingua sarda), e togliendo molta importanza al Codice in sardo, poiché la lingua è resa meno pura dalle esigenze della traduzione del testo.
L’ho scritto altra volta: – la parola promulgata fu parola bugiarda e truffatrice. Essa ha ingannato lo storico Manno; ha fatto affermare molte inesattezze al Tola; ha sorpreso la buona fede di tante persone dotte; ha fatto credere che il Municipio di Sassari avesse rubati i cavalli del proprio stemma ad un podestà genovese; ha fatto scroccare una piazza al nostro comune in onore di Cavallino; ed infine ha suggerito al valente pittore Sciuti un quadro falso nella sala del palazzo provinciale.
Era d’altronde ben strano, che gli Statuti di Sassari venissero promulgati nel 1316, dopo 22 anni, cioè, che la città di Sassari erasi retta a comune per la convenzione del 24 Marzo 1294.
E come mai i 22 podestà che vennero da Genova poterono giurare, colla formula contenuta nel Capitolo I, l’osservanza de sos ordinamentos, constitutiones et breves factos per gli uomini di Sassari, se queste ordinanze e Brevi non vennero scritti che nel 1316?… Tacciamo tutte le altre considerazioni che ora ci vengono in mente, dovute certamente alla facile e comoda sapienza del poi. Ne farò una sola: perché mai gli Statuti originali sardi si volevano tradotti in latino? La maggior parte degli Statuti delle città italiane, dei secoli XII e XIII, ed anche posteriori, erano scritti in latino, e vennero poi tradotti in volgare. Cito per esempio: quello di Siena volgarizzato nel 1310 di nuovo, di buona lettura grossa, ben leggibile a l’altre persone che non hanno grammatica (!); quello di Chieri del 1311, tradotto in dialetto (come scrive il Cibrario) per la comune intelligenza; e quello di Ascoli del 1496, volgarmente tracto deli Statuti. E così si era fatto per gli Statuti di Sassari nel 1316, per maggior intelligenza di quelli del contado sassarese, i quali parlavano in sardo.
Rimane a far notare, che gli Statuti custoditi nel nostro Archivio comuna-le sono preziosissimi, e giustamente il Manno li ha chiamati un monumento della sapienza dei sassaresi.
Di nuovo Branca Doria
Ben pochi documenti a noi trasmise la storia sugli avvenimenti accaduti in Sassari durante la sua libertà sotto la protezione della repubblica di Genova.
Sappiamo solamente, che nel 1297 il Comune di Sassari, collegatosi col Giudice di Gallura e con Branca Doria, mandò un forte nerbo di truppe, le quali invasero il regno di Arborea; e i sassaresi tornarono vincitori, carichi di spoglie del nemico. Così dice il Tola, ma la notizia sfuggì al Ferretto; il quale anzi dice, che di Branca Doria non si hanno più memorie dal 1294 al 1299 – prova questa ch’egli trovavasi di nuovo in Sardegna, e non più a Genova.
Le cose della repubblica pare che in Sassari non andassero troppo bene Nuovi conflitti avvennero certamente nei primi del secolo XIV. I sassaresi cominciarono a stancarsi di questi benedetti genovesi che tiravano i vantaggi dalla loro parte; ed infatti vediamo che nel 1306 la città di Sassari mandò come ambasciatore al re Don Giacomo di Aragona l’Arcivescovo turritano Teodorico (o meglio Thedisio) con la missione di riconoscerlo come sovrano, e di servirlo finché avesse conquistato tutta la Sardegna.
Certamente è strana questa ambasceria e questa volontaria dedizione, dopo soli 12 anni di repubblica. Qualche cosa di grave era avvenuto, né so con quale occhio vedesse il Podestà simile ambasciata.
Notevole parimenti è il fatto, che, dieci anni dopo, nel 1316, il Comune di Sassari si affrettò a trascrivere i due esemplari degli Statuti (uno in latino e l’altro in sardo) sotto il podestà Cavallino – se non vogliamo credere che il Consiglio comunale volesse metterli in pulito per farli poi riconoscere dalla Corte di Aragona, come di fatto avvenne quando Sassari passò sotto il nuovo governo.
Nel 1297 il re Don Giacomo aveva ottenuto da Bonifazio VIII la investitura della Sardegna; e siffatta notizia pare avesse spaventato Branca Doria; il quale temeva giustamente di essere danneggiato nel comando e nei beni che vantava nell’Isola. Egli implorò allora dal pontefice il riconoscimento de’ suoi diritti; e il pontefice (come altrove accennammo) gli scriveva due anni dopo (nel 1299) confermando la legittimazione di Preziosa, madre di Branca (nata da legame incestuoso) già ottenuta dal di lei padre, Mariano II, ed abilitando lo stesso Branca ed i suoi successori al possesso dei feudi in Sardegna. Questo nuovo documento, datoci dal Ferretto, fu quello che a noi rivelò la parentela del parricida Branca, la cui madre (bastarda di Mariano) era sorella di Adelasia, sedotta e poi sposata da Michele Zanche, suocero dello stesso Branca: – parentele formate da una serie di tresche, di assassini e di baratterie di ogni sorta.
Ma dei fatti avvenuti dal 1300 al 1323, ultimi anni della repubblica sassarese, nulla noi sappiamo – come nulla sappiamo dei podestà venuti, o non venuti, dopo il 1316.
La repubblichetta di Sassari aveva una certa importanza; e, negli atti politici che stipulava Genova, la vediamo sempre menzionata come alleata. Nell’atto di tregua, per esempio, del 31 Luglio 1299, tra il comune di Genova e quello di Sassari da una parte, e il Giudice di Arborea dall’altra, troviamo menzionato come procuratore il giurisperito Vir Guido de Vada di Pasa, morto forse a Portotorres, poco prima di restituirsi in patria.
È facile che durante le trattative tra il papa ed il re, per la cessione dell’Isola ad Aragona, il governo della città di Sassari fosse disgregato, in balia dei partiti che si dilaniavano a vicenda. Nelle trattative della cessione dell’Isola (secondo il Ferretto) Branca Doria ebbe molta parte. I Doria promettevano aiuti al re nella conquista del Logudoro, purché si rispettasse Sassari, che apparteneva a Genova; ed in compenso essi non volevano che la conferma dei loro diritti sui beni che vi possedevano. Siffatto accordo venne conchiuso da Branca Doria e da suo figlio Bernabò – ai quali il re Giacomo, nel 1308, con-cedeva Castelgenovese, Casteldoria, l’Anglona, Alghero, la Nurra e i castelli di Monteacuto e del Goceano. (Pare che Don Giacomo fosse di manica larga, vendendo la pelle del lupo prima di ucciderlo!).
Branca Doria sognava un trono. Narra il Foglietta che egli fece pratiche presso l’imperatore Arrigo VIII (quando costui si trovava a Genova nel 1311), per poter diventare re di Sardegna (nientemeno!).
Risulta (scrive il Ferretto) che Branca si trovava in Genova nel 1316, a Lerici nel 1318, e a Bonifacio, Castelgenovese e Casteldoria nel 1321 (nella grave età di 88 anni!) – ma io credo non si trattasse dell’assassino di Michele Zanche… come ho già detto, e come diremo altrove.
Podestà genovesi in Sassari
Anche i nomi dei Podestà inviati a Sassari da Genova, ci sono ignoti per la maggior parte, come quelli inviati precedentemente da Pisa.
Chi fu il primo di essi? S’ignora. Non sarebbe assurdo lo ammettere, che fra i primi podestà (almeno durante il tempo delle trattative con la repubblica di Genova) sia stato prescelto il famoso Branca Doria, al quale forse appartiene il sigillo d’argento, oggi posseduto dal Museo di Berlino. Una sola circostanza vi si oppone: – nella convenzione del 1294 è detto, che il podestà doveva essere nativo e cittadino di Genova, ma non possessore in Sardegna di terre, con giurisdizione sulle persone.
I Podestà tramandatici dalla storia sono i seguenti:
1°) Ottone Boccanegra nel 1300. Di questo podestà è menzione in un documento esaminato dall’archeologo Simon nella seconda metà del secolo XVIII.
2°) Rolando da Castiglione, nel 1313. Il Tola nota nelle notizie sull’Università di Sassari (1866), che si ha menzione di un individuo di tal nome, il quale domandò all’Imperatore di Germania, Enrico VII, la potestaria di Sassari per un anno… dopo che sarebbe scaduto dalla carica colui, che nel suddetto anno la teneva di diritto. Non sappiamo se l’imperatore gli concesse siffatta grazia; ma ci sorprende il fatto, che in quel tempo eravi chi brigava per ottenere il posto di Podestà di Sassari, implorando favori, in opposizione agli Statuti; nei quali si decretava, che fosse eletto dagli anziani di Genova. Pare che i pasticci ed i brogli si facessero in ogni tempo, tanto sotto la repubblica, quanto sotto la monarchia! Non dovrebbe dunque far meraviglia, che Branca Doria avesse ottenuto qualche privilegio dall’Imperatore, o da altri, per poter coprire la carica di Podestà di Sassari, pur continuando a godere i beni che possedeva nella Nurra, nella Romangia, nella Fluminaria, e forse anche nel territorio sassarese.
3°) Cavallino de Honestis, nel 1316. Era in carica nell’anno in cui gli statuti di Sassari vennero tradotti in volgare sardo – oppure nell’anno in cui vennero trascritti più accuratamente. Ho già detto come il Manno nel 1825, il Tola nel 1850, e tutti gli altri scrittori che ne parlarono in seguito, ritennero i Codici promulgati nel 1316, anziché nel 1294 o 1295, come risulta dall’errore che io denunziai nell’Aprile del 1904.
Sono questi i tre Podestà venuti da Genova, che i documenti a noi rivelano; ma… e gli altri 39?! Un silenzio profondo regna sui loro nomi. Forse il solo Ferretto, continuando le ricerche, riuscirà a rivelarceli.
A proposito dell’ultimo Podestà (di cui ignorasi il nome) dò le seguenti notizie:
Non appena Catoni e il suo partito decisero di sottomettersi al re di Aragona, i genovesi, con a capo il podestà, tentarono di opporvisi. Allora il popolo sassarese, nell’Aprile del 1323 (due mesi prima dell’arrivo in Sardegna di Don Alfonso di Aragona) si levò a tumulto, e cacciò dal seggio il podestà, affidando temporaneamente le redini del governo al cittadino Catoni.
Così stesso avvenne, quando nello stesso anno arrivò a Sassari il nuovo Governatore Moliner, nominato dal re aragonese. Il popolo si alzò a tumulto, e la fazione contraria ai genovesi cacciò violentemente il podestà ch’era in carica, rompendo i patti del 1294. – La repubblica di Genova si dolse con Don Giacomo, poiché aveva accettato la dedizione volontaria dei sassaresi; ma non sappiamo l’esito delle sue rimostranze.
Certo è che i Doria – i quali in precedenza avevano promesso di aiutare il re di Aragona nella conquista del Logudoro – non saranno stati estranei agli avvenuti tumulti. Essi non miravano che ad affermare i loro diritti nell’Isola, conservando i propri beni.
Dal mio canto sono di parere, che siavi confusione nella cacciata dei due podestà: forse i due tumulti popolari debbono ridursi ad uno solo – prima o dopo dell’arrivo del Moliner.