In tempi remoti. Se è vero che i nuraghi (come molti credono) erano nell’età preistorica le case dei Capi Tribù, è indubitabile che essi rappresentavano anche la Casa Comunale, la chiesa o tempio, il palazzo di giustizia, ed anche la caserma del Comandante d’armata. Ma Dio solo sa dov’era il nuraghe del primo capo di quella antichissima tribù, da cui discesero i sassaresi!
Così pure indagheremo dove fosse la Casa Comunale del villaggio di Sassari nell’anno 700 o 1000. Se è vero che Sassari ebbe la sua origine nel rione di Sant’Apollinare, certo è che la casetta del majore, o sindaco, sorgeva a poca distanza dal pozzo di villa, di cui oggi non rimane che la piazzetta e l’antico nome di battesimo.
Nel medioevo. L’antica casa del comune, fin dalla metà del secolo XIII, e forse anche dal secolo anteriore, è sempre stata dove oggi trovasi: nell’area occupata dall’attuale Palazzo e Teatro Civico.
Risulta che colà esisteva nel 1283, al tempo in cui Sassari era sotto il dominio di Pisa, che vi mandava i suoi Podestà. Dagli statuti del 1294 si rileva che la casa del Comune era formata a portici (porticales). Aveva tre facciate sulle vie pubbliche, cioè: una sulla plata de Cotinas (odierno Corso); la seconda sul campo dessa Corte dessu Comune (odierna via Teatro civico), e la terza sulla stretta dell’orologio. E’ probabile che avesse una quarta facciata posteriore, dove forse era il cortile che noi vi troviamo circa due secoli dopo. La sala terrena era certamente molto vasta, se durante il governo repubblicano dovea contenere cento consiglieri, oltre gli anziani, i sindaci, il podestà, ed il pubblico che assisteva alle discussioni.
Non è facile ricostruire l’antico palazzo di città nei secoli dal XV al XVIII, poiché non si hanno disegni, non traccia di pianta, né descrizioni di sorta. Tuttavia, con la scorta delle numerose notizie da me spigolate nelle carte d’archivio, il lettore potrà farsi un’idea dell’antico edifizio.
L’edifizio. Il fabbricato della Casa Comunale dovette subire diverse trasformazioni, per i continui restauri ed aggiunte che vi fecero nel lungo periodo di quasi sette secoli. Verso il 1580 (ai tempi del Fara, che non ce la descrisse) la casa aveva i principali locali a pian terreno (terràneu), ai quali si accedeva dai portici: tanto dalle tre o quattro arcate che davano sulla via maestra, quanto dall’una o due arcate verso la strada del pane, prima chiamata Corte de lardu e di Palumba (oggi via Teatro civico). Nella facciata sulla via maestra l’edifizio aveva quattro finestre, irregolarmente collocate: due grandi e due piccole. Queste ultime (verso la parte superiore del Corso) appartenevano agli uffici di Segreteria e di Contadoria.
A pian terreno erano il salone del Consiglio, quello dei Colloqui, la Cappella, e la sala della segreteria del Veguere. A quest’ultima si accedeva dalla strada del pane, poiché trovavasi nel braccio estremo del fabbricato – il quale era basso, non avendo al di sopra alcun piano abitabile, come lo avevano gli altri ambienti. La Casa Comunale, dunque, per un lungo tratto, era bassa, avendo una diversa altezza dalla parte dell’odierno Teatro Civico. Nella parte posteriore era un cortile, od atrio aperto, dal quale gli impiegati ed i consiglieri potevano accedere agli uffici.
Tra il 1593 e il 1596 vennero spese rilevanti somme per la riforma dei locali, poiché io trovo al riguardo molte deliberazioni e note di muratori e falegnami. In quel triennio fu innalzato un altro piano sul vasto locale della Vegueria; e così i consiglieri poterono trasportare al piano superiore la grande sala, la sala dei colloqui e la cappella, che prima si trovavano al pianterreno. In tal modo i locali si allargarono, si raddoppiarono, con comodità dei consiglieri, degli impiegati e del pubblico.
Trovo difatti, durante l’ultimo trimestre del 1594, diverse somme pagate ai muratori, e a mastru Antoni Moro, fusteri (falegname) per opere di muratura e di legnami pro sa faina (lavoro) qui faguet in su Secretu nou (nuovo) et sostre (solaio) de sos aposentos de altu. Rileveremo in seguito i diversi ambienti.
La Loggia. Il Tola lasciò scritto, che la Loggia era al piano terreno della Casa Comunale, e si reggeva su due pilastri e quattro colonne, una delle quali (quella dell’angolo) era grossa, di pietra dura e a spire. Ma cadde in errore, non la Loggia, ma le cinque arcate posavano sulle colonne e sui pilastri. Egli credette che la Loggia comprendesse il solo spazio sotto i portici; ma l’Angius giustamente osservò che essa non avrebbe potuto capire la grande folla che vi accorreva per i negozi che si sbrigavano al pubblico. Aggiunse lo stesso Angius (e qui è in errore anche lui!) che la Loggia era formata di una grande tettoia, ch’era sulla piazza, presso la Casa Comunale.
Per loggia intendevasi anticamente tutto il piano terreno, compreso lo spazio sotto le arcate: dirò, anzi, che con tal nome veniva spesso designata anche tutta la Casa Comunale. Al tempo dell’alleanza coi genovesi riunivasi colà (non certo all’aperto!) tutto il Consiglio Maggiore: il quale più tardi, specialmente quando vi prendeva parte il Viceré che veniva da Cagliari, solevasi radunare entro la chiesa di S. Catterina adiacente al Palazzo Reale.
La Loggia di Sassari era antichissima. Anche sotto il dominio dei Pisani è mentionata. La sentenza che pronunziò nel 1283 il podestà di Sassari fu letta sub loggia Comunis, ante Curiam regni ecc. Nella convenzione tra Sassari e Genova del Marzo 1294 è scritto: sub loggia ubi fiunt consilia. E gli statuti di quel tempo obbligavano il massaiu (tesoriere) a rimaner la maggior parte della giormata sub logia comunis in Curia (ovvero in Corte, sutta sa loggia, come leggesi nel codice in Sardo). Questa Loggia comprendeva tutto il piano terreno (lo ripeto): e lo spiega ben chiaramente una carta del 1781 in cui leggo: «la loggia, ossia salone a pian terreno». In carta del 1639 è chiamata Logia de baix (di basso): in altra del Maggio 1683 si parla della puerta de medio dela Longia, o Lonja, della Ciudad. E mi pare che ogni altra dimostrazione sia inutile.
Il fatto è, che questa benedetta Loggia era una specie di Omnibus, perché si prestava a molti usi, come si rileverà dalle seguenti notiziette, che riassumo da documenti, indicando i diversi servigi che essa rendeva.
Altare e pubblicazioni. Sotto le arcate della Loggia s’improvvisava l’altare il giorno del Corpus Domini, poiché, passando la processione, quivi si fermava il prete per dare la benedizione, mentre si cantava il motteto dai cantori della Cappella. Atterrato il palazzo nel 1825, l’altare continuò a farsi a fianco del portone d’ingresso. Ad una delle colonne si attaccavano i manifesti al pubblico anche dall’autorità ecclesiastica. Il 20 Maggio 1704 l’arcivescovo Siccardo mando ad affiggere un manifesto ad una delle colonne della Casa del Consiglio.
Fondaghe dessa Prospera. Secondo il Tola, così si chiamava la stanza terrena alla quale si accedeva dalla Loggia, dove riunivasi il Consiglio Maggiore per deliberare, e dove più tardi dava udienza il Regio Veguerio. Sorvolando sulla erronea distinzione che fa il Tola tra Loggia e Salone, egli a noi dice che quando era giovinetto vide in quella sala molte panche e sedili disposti attorno a mo di prospera da Coro, ed un seggiolone distinto in fondo per il Veghiere reale, ed è di parere che da quella panca, o seggiolone del Podestà, sia derivato il nome di Fundaghe dessa Prospera. In un dispaccio reale del 1428 trovo menzione della Prospera di Sassari; e così pure in altra carta viceregia del 4 Maggio 1435, in cui leggesi: in domo curie vocata la Prospera. In un’ordinazione del 23 Aprile 1526 si fa obbligo al Podestà d’intervenire due volte al giorno alla Prospera.
Per le denunzie. Risulta dagli statuti del 1294 che sotto la Loggia era fissata una cassetta misteriosa, dove ogni cittadino poteva introdurre (diremo meglio impostare) qualunque scritto che avvisasse il Consiglio dell’abbandono di qualche terra Comunale, dell’occupazione fattane indebitamente da qualche malvivente, di diritti ed entrate sfrosati…. e così di tutto ciò ch’era di pubblico interesse. Era uno spionaggio bello e buono, ma tornava a benefizio della cittadinanza, e perciò il denunziatore veniva considerato come un benemerito anonimo. Così la pensavano gli antichi nostri padri!
Per Archivio, Vegueria e pane. Quando il Viceré ordinò che si archiviassero nella Casa del Comune tutti gli atti originali dei notai defunti, i consiglieri (riuniti in colloquio il 18 Settembre 1693) osservarono che i locali erano troppo ristretti, e che per i notai morti non restava che destinare la camera que sirve de Vigueria, la quale però richiedeva molte riparazioni. Questa camera del Veguerio doveva esser fissa, poiché nel 1702 si fecero accomodare los bancos de bajos (quelli forse veduti dal Tola verso il 1820). – Anche precedentemente (in un colloquio del 12 Ottobre 1594) trovo un ordine per riparare la casa che serviva allora di scrivania della Reale Vegueria, chiudendo la porta che dava al di fuori, per aprirne un’altra in faccia all’entrata del Segreto della casa del Consiglio, e ciò per poter vendere il pane dalle finestre che danno al Carrerone, dov ‘è la casa di Don Michele Manca, evitando così le frodi. Pare che la Scrivania del Veguerio fosse allora al fianco della casa vicina alla panetteria, perché in quell’anno si deliberò di elevarla per farvi due nuovi aposentos.
Per il bestiame. La Loggia non era destinata ai soli uomini, ma anche alle bestie. Ed infatti il Cap. 78 degli Statuti del 1294 ordinava che il bestiame smarrito. trovato in campagna, venisse subito portato al palazzo di Città per essere legato ad uno dei pilastri o colonne della Loggia. Anche più tardi venne prescritto che il bestiame mostrengo, e quello che la Curia doveva vendere, fosse legato alla colonna a spire ch’era nell’angolo del Palazzo Civico, e questa consuetudine durò a lungo, tanto che lo stesso Tola dichiara di aver veduto le bestie legate alle colonne. Potete immaginare la decenza e l’igiene di quei tempi, con quei buoi e cavalli che minacciavano cornate e calci ai consiglieri e ai sindaci comunali! E taccio il resto!
Per commedia e saltimbanchi. Quando a Sassari era di passaggio qualche compagnia di commedianti girovaghi, o qualche saltimbanco che aveva bisogno di campare la vita per mezzo delle capriuole e dei salti sulla corda, non mancavano mai di rivolgersi al Consiglio Comunale per ottenere l’uso della Loggia; e il Consiglio l’accordava sempre, quasi all’unanimità. Quella sala terrena, avente l’entrata sotto il portico che dava sulla via del pane, era sempre aperta per le commedie e i balli sulla corda.
Per centro di affari. Il Tola e l’Angius notano, che nel 1593 la Città fece la Loggia per comodità dei cavalieri e dei cittadini che avessero da trattare affari. Il primo dice che venne eretta l’antica Loggia coperta, sotto il Palazzo Civico: il secondo afferma che nel piano terreno si costrusse un Salone o Loggia (e dice meglio). Io credo che nessuna innovazione siasi fatta, ma che semplicemente si destinasse a Borsa di mercanti e ritrovo d’uomini di affari quel benedetto locale che si prestava a tutti gli usi di questo mondo!
Per custodia di grani. Quando i magazzini della Frumentaria erano insufficienti a contenere il grano che si acquistava per uso pubblico, i consiglieri volgevano il pensiero alla Loggia di Città… l’eterno omnibus. Il 12 Maggio del 1634 erasi deliberato di depositare una partita di frumento nella loggia, facendovi qualche riparazione; ma molti cavalieri e distinti cittadini fecero osservare, che non era decoroso il fabbricare là dentro; ed allora si propose di servirsi d’altri locali. – Nel Giugno del 1690 si delibera di mettere il grano en la logia, chiudendola con tavole e travicelli; e nel Febbraio dell’anno seguente si parla di depositarlo nel magazzino che es en la casa del Consejo. Nel Luglio del 1727, per la difficoltà di trovar magazzini in affitto, si ordina che se volgan de la lonja, como en otras occasiones.
Per ricovero di mendicità. Si ha una deliberazione Comunale dell’Aprile 1638, nella quale leggesi: «Stante la mortalità della gente povera che cada dia (ogni giorno) muore nella Loggia della Città, come nelle vie (como en carrers), si ordina che questi poveri vengano trasportati al salone dell’ospedale, dove si farà un tavolato per dormirvi, evitando che dormano sul nudo terreno». Immagini il lettore la trista condizione dei poveri in quei tempi beati! – Ma vi ha ben altro che riguarda la nettezza della Loggia e di tutto il palazzo di Città. Ecco quanto leggesi in una deliberazione del 17 Settembre 1790: «Rimanendo aperta durante la notte la porta nella facciata laterale del palazzo Comunale, si propone di mettere una porta, poiché nel portone dormono poveri e facchini, i quali sporcano (!) l’atrio, la scala, e i ripiani del Municipio». – Vedete bene che non erano i soli cavalli ed i buoi che sporcavano la casa comunale e la famosa Loggia!
Per la tortura. Allo spigolo inferiore della Casa Comunale, al di sopra della colonna a spire, era una spranga di ferro con puleggia o carrucola, per dar la corda ai rei di piccoli furti. Sotto le finestre era pure la gabbia per far sedere il paziente, ed all’altezza di tre metri vedevasi un grosso anello (chiamato la loriga) che si aggiustava al collo del malfattore, quando lo si voleva esporre alla vista della folla curiosa, per dare il buon esempio (sic). Si hanno al riguardo disposizioni del ministro Bogino e del governatore negli anni 1759 e 1781.
Per Corpo di Guardia. Il 2 Luglio 1781 il Municipio di Sassari scriveva al Viceré: «Quattro anni fa si presentò a noi il Maggiore di questa piazza, d’ordine del Comandante provinciale, dicendo di voler fare un Corpo di guardia nella Loggia, cioè Salone a pian terreno…» (Ecco la prova che la Loggia non comprendeva i soli portici, come affermò il Tola). – La lettera continua, dicendo, che il Municipio non poteva aderire al desiderio del Maggiore, per il pericolo d’incendio, il quale poteva comunicarsi al piano superiore, dov’erano le carte d’archivio salvate dal tumulto popolare dell’anno precedente. Si osservava inoltre, che la detta sala inferiore (loggia), da tempo immemorabile, era destinata alle adunanze del Consiglio Maggiore con le divise, dei creditori della Città e di altri, quando vi si dovevano discutere gravi affari del comune. Si fa notare, che, d’accordo col Comandante, erasi stabilito d’ingrandire una piccola casa, che per tale effetto erasi costrutta nel Cortile dello stesso Palazzo Comunale. Ed infatti, nell’anno precedente (quando il popolo prese di assalto gli archivi) ivi era un Corpo di Guardia, come dice il Sisco. Abbiamo anche una nota di spese per i restauri del Corpo di Guardia dei Volontari, fatti nel 1795, al tempo di Angioi.
Per i pescivendoli. Proprio così! Il Governatore, nel Febbraio del 1785, dietro i continui reclami contro la vendita del pesce che in quell’anno si faceva sotto la Loggia del Civico Palazzo, obbligava il Municipio a sopprimerla in quel posto, per farla invece nella pubblica piazza. Non possiamo in altro modo spiegare la tolleranza dei consiglieri per il chiasso dei pescivendoli, se non con la ghiottoneria di poter acquistare per i primi i migliori pesci, appena arrivati dalle spiaggie.
Per appigionare. Pare che dalla Loggia si volesse anche trarne lucro affittandola ai mercanti. Nel conto del 1787 leggo: «Portico del palazzo civico sotto la Galleria, affittato a Pietro Picena per vendere le sue merci per sei anni, dall’11 Agosto del 1792, Ls. 62.10». Segue una nota del Tesoriere così concepita: non fu mai affittato. È probabile che il Picena ci avesse pensato sopra. Le sue merci non potevano star bene fra i poveri e i facchini che sporcavano la Casa del Comune!
Per Vegueria e Posta. Dirò infine, che questa benedetta Loggia doveva essere vastissima, perché si prestava a tutto. Il 21 Aprile 1775 il capo muratore Vincenzo Cubeddu presentò un calcolo di Ls. 154,00 per dividere in due il magazzino ceduto dalla Città: – una parte ad uso dell’ufficio del Regio Veguerio, e l’altra metà da servire per la Regia Posta, cioè (così è scritto) per le lettere che vanno e vengono da Terraferma».
Altre note sulla Loggia. Tralasciando tutti gli altri usi a cui il destino l’avrà condannata, spigolo parecchie altre notiziette sulla Loggia.
Nel 1557 si pagano poche lire a Mastru Giuseppe dessu Petrettu per fare la torre (arma di Sassari) nella Casa della Città e per mettere sos titulos et armas in sas Logias. Quali fossero queste armi e questi titoli io non so dire!
Nel Giugno del 1634 si ordina dal Consiglio di aprire due finestre nella Loggia; e questo vuol dire che prima di quest’anno le finestre mancavano in diverse arcate.
Leggo in una deliberazione del 13 Dicembre 1698: Considerando che la porta da basso della Loggia è in pessimo stato, di maniera che chiunque può aprirla, specialmente in questi tempi di ladri notturni; e trovandosi nel Secreto, o aposento del Secreto, la nostra poca argenteria e le nostre sete, ordiniamo, per evitare disgrazie, che si faccia in detta camera uno scaffale per custodirvi gli oggetti di valore».
In un angolo della Loggia era un’uscita, poiché trovo fra le spese del 1781 l’acquisto d’una serratura per la porta del pian di terra che guarda la Piazza maggiore.
Sale di Consiglio e di Colloqui. La sala del Consiglio era vasta, e serviva per la riunione di tutti i consiglieri. Nel 1595 la trovo col nome di Sala de subra (sala di sopra); nel 1634 è detta Sala grande; nel 1702 Camera del Consejo; nel 1708 Salone; nel 1780 Sala del Congresso; in carte del 1784 è indicata con diversi nomi: Salone, Sala delle adunanze, Camera delle riunioni del Consiglio. Nel Luglio del 1782 Antonio Maria Squaglia (il pittore decoratore allora in voga) dipinse per Ls. 25 questa Sala delle riunioni, la quale fu sempre attigua a quella del Secreto.
Col nome di Secreto, o aposento e cambra del Segreto, era chiamata la sala dei Colloqui, nella quale i cinque consiglieri tenevano riunione ogni giorno. Nel 1595 si pagarono L. 5 al pittore Leonardo Jscotu pro pintare sas armas qui si ponen in su secretu nou de altu. Era questa la camera gelosa, dove si custodivano gli oggetti preziosi, e dove la Giunta dava udienza al Vicario Generale, ecclesiastici, ed altre autorità e persone di riguardo; epperciò veniva decorata con un certo lusso, e tappezzata con stoffe di valore.
Nel Giugno del 1692 venne deliberato di acquistare 470 palmi di damasco cremisi – tanto per tappezzare (entoldar) l’aposento del Segreto, troppo indecente per ricevere las visitas, quanto per decorare le finestre, in occasione di festini. Fu rinnovata la deliberazione nel 1697, e nell’ Agosto del successivo anno si ordinò il pagamento di Ls. 1245 a favore del patron Sisto Barberi di Sestri, per aver provveduto 470 palmi di damasco cremisi, in ragione di soldi 40 e mezzo il palmo, e il sei per cento di provvigione (la somma era rilevantissima per quei tempi!).
Dopo la smania delle tappezzerie di damasco, veniva quella delle sedie di lusso. Nel Dicembre del 1660 si fanno venire da Genova diciotto cadiras de vaquetta, con frangie nuove, per le quali si spendono Ls. 400. Nei primi del 1700 si acquistano altre sedie di noce coperte di damasco, al prezzo di L. 14 cadauna, con una spesa complessiva di 280 scudi, per far sedere i consiglieri nelle Congreghe e nei Colloqui. Queste sedie vennero tutte rubate nella sommossa popolare del 1780; e se ne acquistarono altre due dozzine per soli 27 scudi. Nel 1839 (Luglio) si commissionano 24 sedie e 3 seggioloni, raccomandando che uno dei seggioloni fosse più nobile e decoroso degli altri… certo per il Capo Giurato!
Le due camere del Consiglio e dei Colloqui erano sempre vicine; e pare che con frequenza i consiglieri alternassero le sedute tra il piano superiore e il pianterreno; poiché nel Maggio del 1627 venne collocata una inferriata al balcò nou (balcone nuovo) della cambra del Segret, pro restar en baix (in basso).
Nel Maggio del 1758 il muratore Mastru Antonio Ignazio Pirinu riceve dal Municipio cento ed uno scudo, per costrurre tre solide volte nelle camere del Segreto, nel gabinetto vicino, e nell’ufficio di Segreteria – coll’obbligo di decorare queste tre sale con guarnizioni e fregi ai quattro angoli, e di fare una porta nuova al Segreto: il tutto a gusto y genio del Magnifico Magistrato civico. E Dio sa qual lavoro artistico sarà uscito dalle mani di mastru Pirino.
Oltre le due sale del Consiglio e del Segreto, erano nel Palazzo Civico quelle dell’Escrivania e della Contadoria, menzionate in carte antiche – l’una e l’altra superiore. Nell’Agosto del 1782 si delibera di dar maggiore luce ed aria a queste sale, chiudendo le due finestre piccole nella facciata verso la Piazza, per aprirne in simmetria due grandi, ossia finestroni. Nella Segreteria erano gli armadi per gli Archivi; ed infatti nel 1758 si pagano gli operai per los bancos en los archivios de la Escrivania.
Gallerie, corridoi, scale. L’antica Casa Comunale, nella parte esterna (specialmente verso l’attuale Teatro Civico) doveva essere un curioso misto di ballatoi, di balconi, di scale con tettoie sorrette da travicelli, di gallerie, corridoi (passaggi chiusi e aperti): il tutto addossato ai muri esterni, ingombranti la strada pubblica, ma a benefizio della comodità dei locali dell’interno. Spigolo da numerosi documenti di diversi tempi.
In carte del secolo XVIII e XIX è menzionata la Galleria, forse quella a cui si dava pure il nome di Corridore. Nel 1626 si restaura la teulada della escalera (tetto della scala) per la quale si entrava nella sala del Consejo, e si accomodano le finestre che sono en el corredor del Passeggiador.
Il capo mastro De Rio riferisce, nel Settembre del 1693, che è urgente restaurare el Corridor che dà sulla piazza, dove estan los senores consellers el verano. Questo ci dice che i consiglieri nell’estate solevano radunarsi nel corredor; il quale non poteva esser che una galleria piuttosto vasta, riparata da tettoia e da invetriate. Anche nel 1728 si fa menzione del Salone galleria, esistente nel piano superiore; mentre nel 1815 si parla solamente di Galleria dove si riponeva il pane, la quale non poteva essere che a pianterreno, vicino ai banchi delle panattiere.
Nel 1595 il Consiglio deliberò di restaurare la escalera che conduceva alla Camera del Consiglio, mentre nel 1626 si parla della tettoia della scala di sopra. Il Sisco nota, che nel 1658 vennero costrutte la scala e la balaustra di ferro nel civico palazzo; ed infatti trovo che nel Marzo del 1670 si acquistano per ultimarla sei quintali e mezzo di ferro, che costano Ls. 81 e 5 soldi.
Finestre, ballatoi, balaustre. L’antico Palazzo Comunale, al tempo della repubblica e degli aragonesi, non aveva che sole finestre – e forse erano di stile gotico, a colonnine.
Nel 1595 si fanno due finestre nuove negli aposentos de s’altu de sa sala. Quali? Eravi forse un terzo piano, consistente in soffitti con finestrini bassi?
Nel 1613 i consiglieri, volendo meglio vedere, ed esser veduti dal pubblico, allungarono le aperture delle finestre per collocarvi un lungo corridore, o balaustrata. Nel 1782 si deliberò di sopprimere il corridore per tornare alle antiche finestre con parapetto. E finalmente nel 1830, quando si demolì il vecchio palazzo per riedificarlo, si tornò per la seconda volta al corridore con balaustrata di ferro, rimasto fino ad oggi.
Terremo dietro alle modificazioni con la scorta di alcuni documenti.
Il Sisco riferisce, che con deliberazione 1° Agosto 1613 il Consiglio Maggiore ordinò che nel palazzo di Città si facesse un Corridore, dal quale i consiglieri potessero vedere comodamente la corsa dei cavalli il giorno di Mezzagosto, essendo indecoroso che essi si portassero nella piazza di Santa Caterina per godere lo spettacolo. Così pure osservano, che sarebbe stato per loro poco decente trattare sulla strada i negozi della Città. Questa ultima indecenza non la capisco. Forse il pubblico chiedeva udienze e provvidenze dai Consiglieri quando li vedeva in piazza in tenuta ufficiale!
Nel Settembre del 1626 si pagarono Ls. 29 al muratore Stefano Guidi per accomodare le finestre ch’erano sobre lo passegiador; nel Giugno 1629 i consiglieri scaduti raccomandarono agli eletti il nuovo passegiador; nel Giugno del 1684 si delibera di pianellarlo; e nel 1639 si raccomanda di curarne i lavori, perché non eseguiti a perfeciò. Nel colloquio del 1° Dicembre 1643 i consiglieri discutono sulla imminente rovina del Mirador del palazzo di Città, che fronteggia la estrada del pà (via del pane); e deliberano di farlo aggiustare insieme al tetto del passegiador che dava sulla plata. Altre riparazioni si ordinano nel 1650, 1693 e 1741, in cui si restaurano le finestre del Corredor.
Ma anche per il passegiador era suonata l’ultima ora, dopo un secolo e settant’anni di vita.
Il 10 Luglio 1782 il Consiglio delibera di riformare le finestre del Civico Palazzo, togliendo la balaustrata per applicarvi il parapetto. I periti però dichiararono, ch’era impossibile aggiustare le finestre, senza prima restaurare la facciata della casa che minacciava rovina. E la facciata venne restaurata con forte spesa.
Fin da tempo antico le finestre del Municipio erano munite di gelosie, e ne trovo cenno in una nota di spese del 1557; e così pure in altre del 1702 e 1741, in cui si parla del pagamento de las gelosias novas.
Di vetri e di invetriate non trovo menzione che verso la metà del secolo XVIII. I vetri erano allora un lusso, né so se il municipio di Sassari se lo permettesse. Nel Gennaio del 1783 si delibera di rimettere i vetri ai finestroni della facciata ed alla galleria, perché esposti a continui danni per «l’affluenza delle persone che vi si recano per tenere i verbali nanti il Consiglio Civico». Si acquistano molti vetri per le finestre nel 1795; altri nel 1806 in occasione dell’arrivo a Sassari del re Vittorio Emanuele I; altri nel Dicembre del 1807 perché «è la stagione in cui giornalmente si eseguiscono nella Sala le operazioni relative al miglior regolamento della panatica». Come vedesi, in ogni tempo i padri della patria temevano i così detti colpi d’aria.
Cappella e messe. Fin da tempi antichi esisteva nel palazzo di città la Cappella ad uso dei consiglieri che ascoltavano ogni giorno la messa. Non ne trovo notizie al di là del secolo XVI.
Nel 1588 la Cappella era al piano terreno (sala de baix). Per deliberazione del C. M., venne trasportata nel 1596 al piano superiore (dove allora era la camera del Secret, ossia delle riunioni). I Consiglieri si erano lamentati, dicendo che tornava loro incomodo, specialmente quando pioveva (!), di scendere a basso per sentir messa, e poi risalire per sbrigare i molti negozi. Lamentavano inoltre, che, y son tants los crits que fan en la plassa, que inquietan lo frare que diu la missa. Curiosi consiglieri! Pensavano al chiasso della piazza che disturbava il frate nell’altare, e sopportavano rassegnati nei loro negozi il grido dei pescivendoli che stavano sotto la Loggia!
I cittadini potevano ascoltare la messa di Città; ma io credo fosse solamente permesso alle persone distinte.
L’altare della Cappella era fornito di buoni dipinti. Si conservava ancora nel Municipio un Cristo in croce dei primi anni del secolo XVI, che forse apparteneva alla Cappella. Nel Novembre del 1626 si pagarono L. 125 al pittore Bachio Guarini per pintar el retaulo della Cappella di Città; e nell’anno seguente (Maggio) si diedero Ls. 27,5 al genovese Bernardo Gancardo per seta, nastro bianco e vermiglio, e fattura di una cortina per il suddetto altare. Questo Bacio era il famoso pittore fiorentino, di cui altrove parleremo.
L’elemosina per la Messa di città era prima di 4 soldi e mezzo; si aumentò in seguito a 5 soldi per deliberazione del Consiglio maggiore.
La città pagava annualmente i Cappellani – nel 1588 e 1626 con L. 80; nel 1670 con L. 90; nel 1759 con L. 60. Da quest’anno non trovo alcuna somma stanziata in bilancio.
Orologio e orologiaio. Nella Casa Comunale era da lungo tempo un orologio, la cui macchina era forse collocata verso il vicolo che ha conservato il battesimo di stretta dell’orologio.
Questo orologio fu cambiato di posto e modificato diverse volte, come si rileva da molte note di spese.
Scrive l’Angius: «Dell’orologio di Città si ha memoria nel 1555, anno in cui si deliberò di traslocarlo al campanile della cattedrale. Ignorasi se sia il medesimo che nel 1606 venne collocato nel Castello della Inquisizione a spese della città; la quale oltre il sussidio di L. 100, aveva donato i dodici mascheroni di bronzo tolti alla fontana di Rosello per fondere la campana delle ore».
Memoria più antica io trovo di questo orologio. Nel 1526 si stanziano L. 50 per salario annuo all’orologiaio della Città. Nel 1557 si notano alcune spese del garagolu (argano) pro mudare l’orologio civico (cambiarlo di posto).
L’orologiaio del 1575 era Baingio Piqueri, rillogeri; nel 1590 è Francesco Piqueri, forse il figlio; nel 1596 è Gaspare Piqueri, forse il figlio del figlio – tutti con Ls. 50 all’anno. Pare che la famiglia Piqueri godesse, per eredità o privilegio, su carigu del Relos, Reloig, Rillogio, o Relogio della Città!
Il 22 Gennaio 1699, avendo il ferraio e orologiaio Francesco Villino aggiustato malamente l’orologio, i consiglieri affidarono l’opera a un frate cappuccino, mui perito en esta facultad, il quale dichiara che vuol rifatta la ruota di Santa Caterina!
Il 30 Luglio 1711 si delibera di mettere a punto el reloz della Città, facendo dos muestras (quadranti): una «en la fachada, y altra por la parte de bajo del Corridor». – Questo ci dice che nel detto anno i due quadranti dell’orologio erano nella stessa località in cui oggi sono.
Orologiai del comune erano: nel 1775 Giuseppe Luigi Sante; nel 1780 mastro Antonio Castiglia; nel 1782 Stefano Viglino; nel 1825 Michele Sante Castiglia; nel 1848 la signora Penna vedova Cossu; indi Penna e Pieroni.
Campanile e campana. Sulla Casa Comunale era il campanile, ossia una torretta coperta che riparava la campana di Città. Questa campana aveva molta importanza: era la voce dei padri della patria, la voce del paese, la voce del popolo nelle manifestazioni di gioia e di dolore. Essa suonava ogni sera il ritiro, prima che si chiudessero le cinque Porte; chiamava alle adunanze i membri del Consiglio Maggiore; ripicava per l’arrivo di un Viceré, di un vescovo, di un illustre personaggio; piangeva la morte di un Re, o di un’Altezza Reale; salutava un glorioso fatto d’arme, la promozione di un cittadino ad una carica eminente; festeggiava una processione religiosa; ed infine chiamava al soccorso nel caso di un incendio, di un assalto del nemico, o di uno sbarco di mori o pirati nelle spiaggie di Portotorres e della Nurra.
In un indice dell’Archivio Comunale leggesi, che l’Abbate di San Michele de Plano, nel 1430, vendette la campana alla Città per L. 50; e così la campana dei Vallombrosani, ch’era servita per chiamare i fedeli in chiesa, divenne la campana del Consiglio Civico di Sassari.
Nella sommossa del 1780 i popolani corsero al palazzo di Città, sfondarono la porta del campanile, e si diedero a suonare a stormo. Il fabbro Castiglia, con pericolo della vita, strappò alla campana il martello, e andò a consegnarlo in mano del Governatore.
Quando nel 1824 si atterrò la vecchia Casa Comunale per ricostrurla dalle fondamenta con stile moderno, non fu dimenticato di farvi un’elegante torricola per la campana, che continuò per molti anni a suonare il ritiro. Questa nuova campana era stata fusa dal fabbro Castiglia nel 1828.
Prima della demolizione del vecchio palazzo, il Banditore aveva colà l’alloggio gratis. Costrutta la nuova casa, gli si diedero 10 scudi annui d’indennità.
Più tardi il Governatore ordinò, che la paga per il suono della campana fosse invece corrisposta al custode del nuovo Teatro Civico, nel cui vestibolo era stata collocata la corda del campanile.
Cisterna, cortile, pilastro. Darò brevi cenni su altre parti della vecchia Casa del Comune, scomparsa fin dal 1825.
La cisterna ad uso dei consiglieri e degli impiegati di Città era nell’interno dell’edifizio, e la credo antica, quantunque io non ne abbia trovata menzione in documenti anteriori al 1702, anno in cui si fece l’acquisto di una secchia di rame (un ramon) che costò Ls. 24. Nella cisterna andavano le acque piovane che si scaricavano dal tetto; ma d’ordinario si empiva con l’acqua di Rosello, che si faceva trasportare per mezzo degli asinelli. Nel Luglio 1778 si spendono per empirla d’acqua Ls. 7.10; nell’Agosto del 1782 vi si mettono 100 carichi d’acqua.
Nella parte posteriore della casa di Città era un cortile, e non è improbabile che anticamente facesse parte dessu campu dessa Corte dessu Comune, menzionato negli statuti del 1294. Molti ignoravano, o dubitavano di questo cortile; ma ormai è certo che esisteva anche nel 1825, prima della demolizione del vecchio fabbricato. Pare fosse abbastanza vasto, perché conteneva una casetta di proprietà municipale, che servì qualche volta di corpo di guardia. Spigolo alcune notiziette a corredo.
1595 (29 Maggio). – La Giunta delibera di nominare come servo della Frumentaria (teracu) un certo Giovanni de Bona, coll’obbligo pure di mundare (spazzare) sa domo de sa zitade, cun totos sos aposentos de altu et baxiu, et sa Corte – e ciò due volte alla settimana mediante salario di Ls. 54 all’anno. Alla fine dello stesso anno si delibera di atterrare la casa che si stava fabbricando in sa corte dessa domo del Comune perché troppo grande ed indecente, per essere sul passaggio che si fa per salire a sos aposentos novos, ed anche per la lite intentata da mastro Gavino Casaradino.
Nel Luglio del 1626 si pagano a Pedro Seque, carrador, 38 soldi, per venti viaggi fatti nel trasporto della immundisia (immondezza) che era dins del patj (dentro il cortile) desta magnifica Ciudad (Proprio magnifica con 20 carradas d’immondezza!!).
Nel 1781 si deliberò di allargare la piccola casetta ch’erasi fabbricata nel Cortile del palazzo di Città.
Altre spese per un portone e per lo spianamento di questo Cortile (chiamato atrio interno) furono fatte nel 1792 e nel 1801.
Nel testamento del Giugno 1629 i Consiglieri uscenti dicono: «Oltre il nuovo passeggiador, i nostri predecessori ci raccomandarono di fissare (affixar) una colonna al pilar del detto fabbricato che dà alla strinta del Reloig; e fu fatta crida (pregone) che nessuno la tolga, sotto pena di L. 25; e così pure che colà non passi alcun carro».
La panetteria. Lungo il lato della Casa Comunale, che fronteggia l’edifizio degli Scolopi, eravi da tempo antico una specie di porticato, o tettoia, dove le panattare erano obbligate di vendere il pane; e perciò quella via trovasi nelle vecchie carte sotto la denominazione di carrer, o calle del pà. Si sarebbe detto che facesse parte della Casa di Città, tanto i consiglieri se ne preoccuparono. Eccovi in proposito alcune notiziette:
1557. – Si spendono soldi 13 per due carrette di smalto fino, pro su portigale de sas panajolas.
1699 (Febbraio). – «Si lastrichi la strada, dalla via dov’è la casa del Padre Gavino Cesaracho, fino alla Loggia della Città, salendo alla piazza pubblica, lungo i banchi della Panatteria».
1783. «Si ripari il banco di pietra lungo 60 palmi, col suo coperto, ad uso delle panattiere che non hanno altro posto per vendere il pane; il quale verrebbe a diminuire per tale difetto». La spesa fatta, di Ls. 300, dimostra che la riparazione fu di qualche importanza.
I banchi delle panattare dovettero togliersi nel 1825, quando si pensò a destinare quella parte della Casa Comunale a teatro civico.
Dirò per ultimo, che i consiglieri antichi avevano provveduto perché nulla mancasse alla casa di Città… neppure il forno. Nel Novembre del 1818 si pagarono al muratore Salvatore Pinna Ls. 21 per aver rifatto il forno esistente sulla volta della Civica Contadoria. A che cosa servisse il forno nella casa comunale io non so. Forse per tenerlo pronto in tempo di sciopero dei fornai? Oppure per cuocere il pane ai mazzieri… od ai consiglieri?!
Restauri al palazzo. Farò un brevissimo riassunto dei diversi restauri fatti.
Il Tola asserì che la Casa Comunale fu restaurata nel 1512, riformata nel 1593, e perfezionata nel 1601 e 1604. L’Angius aggiunse nel 1614. Mi mancano documenti per accertare i restauri del 1512 e 1601. Trovo notevoli spese per migliorare il fabbricato nel 1557, non accennati dal Tola né da altri.
Spese rilevanti di muratura risultano fatte nel 1595; in seguito nel 1626, anno in cui si aprì un balcone nuovo; e così nel 1660 per nuove aperture e riparazioni; e nel 1687 per riparo a molte grondaie nel tetto (goteras en lo tejado), le quali con lo stillicidio avevano danneggiato la scala. Nell’anno stesso si deliberò di rifare tutto il tetto (retejar todo el tejado).
Nel 1780 il muratore Pirinu costrusse le tre solide volte (bòvedas); e forse fino a quell’anno i soffitti erano a travi e tavole. I lavori più d’importanza si eseguirono nel triennio dal 1780 al 1783, dopo la sommossa popolare. Si spesero oltre 2000 lire sarde, parte delle quali vennero generosamente prestate dall’avv. Domenico Solis, l’ardente rivoluzionario angioino. Nella lunga relazione di quattro periti è detto, che prima di aprire le due finestre nuove era necessario ingrossare i muri, poiché altrimenti la facciata del palazzo civico sarebbe caduta addosso ai maestri muratori. Nuove riparazioni per Ls.435 ven. nero fatte nel 1799 in occasione della venuta a Sassari del Duca di Monferrato, nominato Governatore.
Si continuò a rattoppare il palazzo di città dal 1801 al 1824; ma esso era vecchio di circa sei secoli, e l’ora della sua morte era suonata!
Progetto del nuovo Palazzo. Lo stato del Civico Palazzo impressionava i consiglieri. Fin dal 1819 si erano costruiti tre archi, o cavalcavia, nella stretta dell’orologio, temendo che la casa cadesse da quella parte. (E qui si spiega la colonna apposta in quel punto dai consiglieri del 1629).
Il Corpo del Genio, con progetto del 10 Luglio 1824, aveva dichiarato rovinoso il Palazzo Civico, insuscettibile della più piccola riparazione. Esso indusse il Municipio ad abbandonarlo per evitare disgrazie.
E il Municipio si affrettò a cercare alloggio. Non ne trovò altro che quello dell’avv. prof. Don Giov. Battista Pilo Giraldi, che pattuì al prezzo di 60 scudi annui, pagabili a semestri, a cominciare dal 5 Luglio 1824.
Il 22 Marzo 1825 si deliberò di riedificare dalle fondamenta il Palazzo Civico, rivolgendosi al Re per mezzo del Marchese di Villaermosa, onde ottenere in prestito la somma di 4000 scudi.
Il re Carlo Felice, non solo ordinò la pronta consegna di 3000 scudi (mille in meno!) ma dichiarò di darli in dono, con la sola condizione che il Municipio facesse celebrare in perpetuo una messa quotidiana di un quarto di scudi (L. 1,20) nella chiesa parrocchiale di S. Caterina, o in altra, in suffragio dell’anima di suo fratello, Conte di Moriana, morto a Sassari nel 1802.
I consiglieri accettarono le condizioni imposte, e corrisposero l’annua pensione di scudi novanta al Cappellano. Lo strumento venne rogato il 20 Luglio 1825, e nello stesso anno fu celebrata la prima messa dal sacerdote, teologo Gio. Battista Riva.
L’11 Aprile 1826 fu chiesta al Viceré l’autorizzazione di edificare il nuovo palazzo, su disegno dell’ingegnere Tommaso Cominotti.
Demolizione. Verso l’anno 1826 cominciò la demolizione della vecchia casa comunale, la quale creò molte seccature al Municipio, specialmente per la lite promossa dal Governatore cav. Rafaele Cugia, proprietario della casa che aveva pur facciata nella stretta dell’orologio.
Durante la demolizione della Casa del Comune gli uffici si trasportarono in una casa della Carra grande, dove rimasero oltre nove anni. Risulta dai libri di contabilità, che il Municipio pagò regolarmente il fitto a Giovanni Binna e figli, in ragione di Ls. 425 all’anno – dal 1° Aprile 1825 al 22 Aprile 1834. Ciò vuol dire che nella casa di Pilo Giraldi gli uffizi non erano stati che soli dieci mesi. Il trasporto dei materiali, tanto del vecchio, quanto del nuovo edifizio, fu assunto dall’impresa Sommassi per Ls. 3500.
Nuovo Palazzo. Questo nuovo palazzo di città – sorto nell’area stessa in cui sorgeva l’antico – è lo stesso che oggi vedesi nel Corso, occupato in questi ultimi tempi dall’Istituto musicale, e poi lasciato a disposizione per usi diversi. Le spese della costruzione oltrepassarono il preventivo di oltre L. 23.000.
Questo palazzo ha tre piani, compreso il terreno e le soffitte abitabili (e ciò vuol dire che realmente ne ha uno solo!).
Il piano nobile, con sole quattro camere, venne destinato al Consiglio, alla Giunta, al Sindaco, e al Tesoriere; le soffitte agli uffici di Segreteria; il terreno all’ufficio postale e al Corpo di Guardia. Don Simone Manca, nel 1867, chiamò codesti ambienti bugigattoli, cabine di bastimento; e dichiarò malsani e indecenti i locali destinati agli impiegati!
I nuovi consiglieri vollero un lungo poggiuolo per assistere ai festini, come nel 1613; vollero la torretta con la campana propria; vollero l’orologio a due quadranti, l’Ufficio di Posta, il Corpo di Guardia… ed anche la cisterna, come li conteneva l’antico edifizio, caduto sotto i picconi dei muratori. Non mancava che il forno per cuocere il pane, e non so perché non lo abbiano costrutto!
La differenza fra i due edifizi è questa: – la casa antica del Municipio era vasta e comoda (come scrisse il Cossu nel 1783), mentre la nuova, sebbene fabbricata con linee di buon gusto (come scrisse Valéry nel 1835) era angusta ed incomoda.
Ma perché questa angustia di locali, in un’area nuova che aveva una maggiore estensione della vecchia? Le ragioni erano due: un vasto ed elegante scalone interno, che dava imponenza all’edificio, ma che gli sottraeva parecchie sale; ed un elegante Teatro Civico, che occupava oltre la metà della casa del comune, mettendo alle strette i consiglieri, gli impiegati, ed anche il pubblico!
Del palazzo vecchio demolito nel 1825 non rimangono che due campane: quelle antiche del ritiro e dell’orologio, oggi appaiate per battere le ore ed i quarti nel nuovo palazzo, come a ricordo dei tempi passati.
Il salone del Consiglio, le pareti dello scalone, il teatro, ed alcuni altri appartamenti vennero decorati dai pittori piemontesi Cesare Vacca e Pietro Rossi, i quali vi lavorarono dalla metà del 1833 all’Aprile del 1835.
La volta dello scalone è decorata a stucchi, e nella parete sono due lapidi: una del 1829, ricordante il generoso prestito di Carlo Felice, per intercessione del benemerito cittadino sassarese Don Vittorio Boyl; l’altra ricordante i nomi dei consiglieri di quel tempo.
Nuovi progetti. Il 15 Luglio 1848, in occasione dell’atterramento progettato della chiesa parrocchiale di S. Caterina, il Municipio si rivolse al Ministero del Culto in Torino, rappresentando la convenienza di destinare quell’area al perfezionamento del Palazzo Governativo, all’allargamento della piazzetta, ed all’erezione di un nuovo Palazzo Civico, che sarebbe tornato a decoro della città. La stessa domanda fu rinnovata il 31 Maggio 1849 – ma non ebbe seguito.
Parrà incredibile, eppure è così! Dopo soli diciotto anni che erasi costrutta la Casa Comunale; dopo tanti danari spesi e tante Messe celebrate per l’anima del fratello del re Carlo Felice, i consiglieri di Sassari si lamentavano della ristrettezza del Palazzo Civico, e supplicavano di poterne fabbricare uno nuovo!
Il vivo desiderio dei padri della patria tornò a ridestarsi sedici anni dopo. Il 27 Maggio 1865 il Consiglio Comunale, su proposta del sindaco Don Simone Manca, deliberò di acquistare per 45.000 lire la casa del Duca di Vallombrosa sita nella Carra grande, per adattarla col tempo a Palazzo Civico ed a Teatro. Il consigliere Don Simone Manca pubblicò nel 1867 il ragionato progetto di una nuova Casa Comunale con annesso teatro, da costruirsi nell’area della casa della Carra ed in quella delle vicine carceri, che il Governo voleva vendere, e che il Municipio avrebbe acquistato per un tenue prezzo. Ma l’ottima proposta non ebbe seguito.
Nel 1878, intanto, vedendo la impossibilità di più rimanere nelle cabine del Palazzo Civico, il Municipio pensò di abbandonare l’antico nido, prendendo in locazione la casa di un privato. E gli uffici furono tutti trasportati al palazzo del Duca dell’Asinara col 1° Gennaio del 1879, rassegnandosi a pagare ogni anno il fitto di L. 10.000.
Nondimeno la questione della Casa Comunale tornò parecchie volte in campo; e verso il 1898 si pensò persino di acquistare il palazzo Giordano in piazza d’Italia. Prevalse però l’idea di fabbricare una casa nuova per dar lavoro agli operai.
Ma la casa nuova non si fece; e finalmente, con atto del 1900, il Palazzo Ducale fu acquistato dal Municipio per circa L. 200.000.
E così il Comune di Sassari è oggi proprietario di due palazzi di Città: l’uno destinato agli uffici, l’altro a disposizione della cittadinanza per riunioni, conferenze, cinematografo, ed altri usi.