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Agro Sassarese

Agricoltura in Sardegna

Nei tempi più remoti le popolazioni si applicarono tutte, ovunque, specialmente alla pastorizia; ma non è di questo periodo che noi dobbiamo occuparci, poiché vogliamo studiare in modo più particolare lo sviluppo dell’agricoltura, il cui incremento è stato, è e sarà sempre, di vitale importanza per la provincia di Sassari, come di massima utilità sarà per tutta l’Isola il suo progressivo, rapido, preponderante incremento, che, insieme con quello della pastorizia, darà alla nostra Sardegna prosperità e benessere.

Efisio Marghinotti parlando dei nuraghi e dell’uso a cui questi misteriosi monumenti preistorici si pensò che potessero essere destinati (ricoveri o abitazioni di pastori, baluardi di difesa, templi, ecc.) mette in campo la congettura originale, perché da lui solo affacciata, che servissero a custodire il grano delle tribù.

Non so se dagli studiosi potrà essere presa in considerazione questa sua opinione e se possa aver credito l’esistenza di codesti granai dei Fenici, o di altri popoli antichissimi. E’ assai facile smarrirsi nell’oscurità di quelle lontane epoche e non trovarvi la verità.

E’ generalmente ammesso che l’agricoltura prosperasse molto sotto i Cartaginesi, e sembra anche che in seguito, inaspriti dalla resistenza dei sardi, questi antichi dominatori proibissero agli indigeni di occuparsi di agricoltura, sotto pena di morte.

Sotto i Romani l’Isola fu chiamata, come ognuno sa, il granaio di Roma, tanta era la copia del frumento che produceva; e non bisogna dimenticare che Polibio, Strabone e moltissimi altri autorevoli scrittori antichi, la designavano come eccellente feracissima terra, produttrice di ogni sorta di frutta.

Cessata la dominazione dei Romani, forse l’agricoltura sarda decadde, ma progredì ancora sotto i Giudici ed abbiamo nella Carta de Logu molte leggi che provano la prosperità in cui allora si trovava l’isola, o almeno la buona intenzione di farla prosperare.

E qui dobbiamo ricordare, come in altra parte notammo, l’attività svolta a profitto della terra dagli antichi Benedettini e le opere dei Vallombrosani e dei Camaldolesi, rivolte tutte a dissodare terre, a prosciugare paludi, a migliorare ogni metodo di coltivazione per accrescere la produttività del suolo e quindi la ricchezza e la prosperità delle regioni.

Sotto il dominio d’Aragona decaddero e declinarono questi meravigliosi sfruttatori della terra, ma sotto la Spagna si diede grande incremento alla piantagione degli ulivi, come vedremo in seguito, e secondo quanto scrisse nel 1888 Don Gavino Passino, durante questa dominazione furono dati incoraggiamenti ed aiuti per la coltivazione della vite, degli aranci e del tabacco.

Il vero risveglio agricolo si ottenne però sotto il dominio di Casa Savoia, verso la metà del secolo XVIII.

Si riconobbe fin d’allora che ogni tentativo sarebbe tornato inutile sin la autoridad y fuerza del Gubierno, come è scritto in una proposta in data 10 Ottobre 1758.

Il re Carlo Emanuele III, nel 1766 sollecitò le pratiche per favorire nell’Isola l’aumento del commercio e dell’agricoltura. L’anno seguente il Ministro Bogino ripristinò con saggia legge i decaduti Monti di Soccorso; e nel Marzo del 1770, per ordine del Sovrano, il Viceré Conte d’Hayres intraprese un viaggio di tre mesi nell’Isola, con lo scopo di studiare sul luogo i bisogni delle popolazioni agricole. D’allora in poi gli scrittori di cose sarde rivolsero la loro attenzione particolarmente al lavoro dei campi, e il Padre Francesco Gemelli, coltissimo professore dell’Università di Sassari, nel 1776 levò per il primo la sua voce autorevole sull’argomento, pubblicando i due poderosi volumi sul «Rifiorimento della Sardegna proposto nel miglioramento della sua Agricoltura».

Dopo quest’opera pregevole, si ebbero in seguito altri libri sullo stesso argomento, tra i quali sono da notarsi quello di Manca dell’Arca nel 1780, e quello di Giuseppe Cossu nel 1787.

Diverse leggi, Pregoni, e R. Decreti in favore dell’Agricoltura, si ebbero anche in quel tempo: nel 1778 per l’incremento degli alberi fruttiferi; nel 1787 per un miglior governo del bestiame e per le colture dei bachi da seta.

Quando all’alba del nuovo secolo (nel 1802) Domenico Alberto Azuni stampò a Parigi la sua Storia di Sardegna, egli non ebbe altra aspirazione che la prosperità della sua terra natale e bene scrisse il Tola in proposito: «L’Azuni vedeva la felicità della Sardegna nell’Agricoltura e nel commercio.- Libertà per entrambe! – egli gridò, – e specialmente per la prima, fatta misera e schiava dalle decime, dalle prestazioni e dal feudalismo -».

Ma egli aveva levato il grido contro un colosso allora troppo potente, e il feudalismo si vendicò dell’Azuni, spacciando per chimerici e contrari all’ordine pubblico i suoi progetti.

Si continuò con progetti e riforme, ma le vicende politiche impedirono il progresso agricolo. Crollato il governo assoluto e proclamata la Costituzione, si ripensò a far rifiorire l’Agricoltura, la quale si avviò ad uno sviluppo meraviglioso dopo il 1870. E allora sorsero i Comizi agrari, le Scuole pratiche, le Cattedre Ambulanti, i Poderi modello, i Campi sperimentali, i vivai di viti americane, caldeggiati e sostenuti da conferenze e da consorzi cooperativi.

Vennero introdotti metodi nuovi di coltivazione; si incominciarono ad usare le nuove macchine agrarie; molte lande deserte, molti boschi di corbezzoli e di lentischio, si trasformarono in rigogliosi vigneti e in altre vaste piantagioni. L’opera iniziata procede, sebbene a rilento, ma è da sperare si raggiunga finalmente lo scopo desiderato, ricordando quanto fu scritto nel Pregone del 1767: «L’Agricoltura è la sorgente inesausta di tutti i comodi dell’umana vita e delle più sicure ricchezze».

Nel territorio di Sassari

È indubitabile che i terreni che circondano Sassari, per la loro felice posizione, per l’aria salubre, per le numerose sorgenti da cui sono irrigati in tutti i sensi, dovettero in ogni tempo essere fra i migliori del Capo Settentrionale. Tutti gli scrittori sardi e continentali portarono alle stelle le campagne di Sassari, e fra i più entusiasti furono il Vico e il Gemelli. Il Valery scrisse nel 1834: «Le vicinanze di Sassari sono amene, ben coltivate, e contribuiscono a dar rinomanza alla città».

Fu questa meravigliosa fertilità del suolo, col suo dolce clima, che invitò i primi fondatori della città a stabilirvisi; come poi invitò gli abitanti di Torres a disertare per questa felice regione, la loro antica patria; invogliò i Giudici di Torres a passarvi una parte dell’anno; mosse i frati Benedettini a fondarvi Monasteri e infine la Chiesa Turritana a trasferirvi la sede dell’Arcivescovado, abbandonando la superba Basilica di Torres.

Nel 1300, al tempo della Repubblica sassarese attorno a Sassari erano molti vigneti, orti e terreni aratori; e gli articoli degli Statuti, che regolano gli orari dei contadini, sono prova evidente che l’agricoltura era in fiore. Troviamo in seguito sotto il dominio degli Aragonesi, degli Spagnuoli e dei Piemontesi, molti Pregoni e Ordinamenti, che dimostrano come l’agricoltura fosse ritenuta il cespite principale della ricchezza di tutta la provincia.

La città di Sassari si preoccupò in ogni tempo della coltivazione delle sue fertili terre ed i Consiglieri ricorsero più volte al Governo, implorando soccorsi e miglioramenti… precisamente come nei tempi moderni.

Il 1° Aprile 1767 si ha da Torino una Carta Reale nella quale è scritto: «La città di Sassari, nel passato Gennaio, ricorse al Viceré per la sospensione dell’estrazione di grano da quel Capo, a motivo dei danni cagionati alle campagne dalle alluvioni». Infatti nel 24 Dicembre del 1766 si era lamentata una spaventosa inondazione che produsse gravi danni nei giardini, oliveti e vigne delle regioni dell’Acqua chiaraRoselloCanigaS. LeonardoTingariRicedduMolafà e moltissime altre.

In altra circostanza si scrisse ancora: «Il vero mezzo di prevenire con efficacia gli effetti di penuria nei casi di scarsa o fallita raccolta, e di accrescere nelle buone annate, collo spaccio dei generi sovrabbondanti, la ricchezza del paese, sarebbe di ridurre a coltura i tanti terreni gerbidi ed incolti che vi si trovano, e migliorarla coll’uso delle regole più benefiche altrove adottate, coll’innesto degli olivastri e con nuove piantagioni fruttifere, colla formazione di stalle e prati per il ricovero del bestiame, e col mettere a profitto le varie altre occasioni che la feracità del suolo e le circostanze del paese offrono le più favorevoli all’esercizio dell’industria, scuotendo in tal modo la naturale inerzia per restituire specialmente la agricoltura a quel segno di floridezza che potè negli andati anni supplire al provvedimento di gran parte dei paesi circonvicini».

Ho già detto che nel 1770 il Sovrano ordinò al Viceré di fare un giro nell’Isola per studiare i bisogni delle popolazioni agricole. Il Viceré fu a Sassari il 16 Aprile del 1770, e vi nominò una Commissione con l’incarico di riferire sugli abusi che si verificavano nei terreni della Nurra, proponendo le misure da adottarsi per riparare al danno che vi recavano i pastori forestieri.

Furti in campagna

Molte pene stabilite nei codici di tutti i tempi, e specialmente negli Statuti di Sassari del 1294, nella Carta de Logu del 1404, nelle Prammatiche del 1630, e nel Codice Feliciano, sono prova che i ladri di campagna ci furono sempre.

Un’Ordinanza fu fatta dal Civico Magistrato, nel Novembre 1522, per togliere gli abusi dell’introduzione del bestiame nel territorio di Sassari e della Nurra, sotto pena di Ls. 50 e fu fatta istanza dai principali proprietari di bestiame di Sassari, fra i quali i Nob. Don Pedro e Don Antonio Cariga, Don Angelo Marongio, Don Giovanni Canu, Don Andrea Virdis e Don Giovanni Casaja. Altra ne trovo il 31 Marzo 1561 per i continui furti di bestiame ad istanza di molti proprietari sassaresi. Furono decretate pene rigorose contro i ladri: chi rubava un bue, una vacca, un cavallo, berbegues, porci, capre ecc. ecc. doveva pagare al padrone cinque volte il prezzo della bestia rubata, più la macchissia di Ls. 15, oppure 25, se era recidivo; e se non pagava entro 15 giorni, doveva subire il taglio di un orecchio, poi il taglio dell’altro; e se rubava oltre le due volte egli veniva addirittura impiccato, de modu qui ne morgiat (!).

Sorvolando sui tempi antichi, daremo qualche nota al riguardo, per il tempo del dominio piemontese.

In una lettera del Ministro, del 28 Agosto 1775, si parla dei gravi danni che risente l’agricoltura di Sassari dai furti di campagna.

Si parla di otto uomini mascherati i quali «tengono talmente in soggezione i cittadini, che i padroni delle possessioni, nel timore di qualche sinistro incontro, quasi più non ardiscono di uscire dalla città per curare i loro interessi». Per tali disordini si consigliano misure e mezzi che possano distruggere i facinorosi.

1794 (11 Agosto). – Il Municipio supplica che si autorizzi la R. Governazione di Sassari «a poter dare un pubblico esempio, massime per i ladri di campagna, coll’applicazione della corda ed anche coll’elevazione, lasciando il ladro per un competente tempo esposto alla pubblica vista… ciò produrrà un gran bene».

Nell’Agosto del 1816 si notano malumori a Sassari per l’apertura di molte case di campagna, mediante asportazione delle serrature, lo spezzamento dei cancelli dei giardini, allo scopo di rubarne gli agrumi, l’abbruciamento di molte viti e il taglio di molti alberi fruttiferi per aver legna da ardere. Il Governatore ne riferisce al Viceré.

Troviamo, che nel 1842, «sono tanti i danni cagionati alle campagne per la ingordigia e prepotenza dei pastori che vi fanno pascolare il loro bestiame; tanti i pericoli che si corrono da chi recasi in campagna, che tutti gli agricoltori di Sassari, in massa si presentano al Municipio nel Febbraio, protestando di voler abbandonare l’agricoltura e deporre lo stendardo del loro Gremio nella Casa Comunale, ove non si trovi un rimedio al male».

E faccio grazia al lettore dei numerosissimi e frequenti furti e proteste, di cui si ha menzione nei libri del Comune a cominciare dal 1848 fino ai giorni nostri.

Barracelli

A siffatte rapine di campagna si cercò fin da tempi remotissimi di mettere riparo con compagnie di cittadini armati, che dessero la caccia ai ladri e risarcissero i proprietari dei danni subiti.

Negli Statuti di Sassari vi è un articolo (il 79°), in cui si fa menzione dei danni arrecati alle case di campagna, ai vigneti, e stabilisce che le denunzie debbono essere fatte entro un mese, con giuramento, con perizia di due Giurati di Sassari ed uno di Romangia, per ottenere il risarcimento dei danni dal Comune.

Da tale articolo il Tola vuole provenga l’origine dei Barracelli, o compagnie di assicurazione.

Le Compagnie barracellari, secondo il Manno, furono invece conosciute fin dal tempo dei Giudici; vennero stabilite in ciascun villaggio per accordo coi comuni; ed avevano l’obbligo (mediante un compenso) di risarcire gli altrui danni, cercando anche d’impedirli.

La voce barracello, secondo il Pillito, pare provenga dallo spagnuolo barrachel, o dal latino Parancellus, compagnie armate.

Il Tuveri (1861) aggiunge anche la probabile derivazione dall’italiano Barigello (Bargello). Lo stesso autore cita le Prammatiche del Vico, nelle quali è detto che la custodia dei beni rurali era affidata in quei tempi a Saltuari, o Campari.

Nel Parlamento del 1575, presieduto dal Viceré Coloma, il Sindaco di Sassari fa una petizione, la quale indica che la istituzione era già conosciuta nell’Isola. Egli domandava, che per benefizio dell’agricoltura e della pastorizia s’istituissero nel Regno i Barracelli, e la giustizia di campagna per perseguitare i ladri, i malfattori ed i banditi.

L’istituzione in Sassari dovette farsi pochi anni dopo. Trovo nell’ Archivio Comunale la convenzione fatta il 27 Giugno del 1596 tra i Consiglieri ed eletti, e Gaspare Brasino Rustarellu sutta Vigueri e Girolamo Mansaneda Algazinu Reale di Sassari, secondo il deliberato del Consiglio Maggiore, i quali Brasino e Mansaneda assumono l’officio e incarico de Baricellos per un anno, obbligandosi di custodire e sorvegliare i poderi, cioè vingias, jardinos, ortos, cannedos, juncargios, cungiados, domos et pinnettas. I due capi prendevano con sé 6 uomini, 4 messi e altri 6 uomini. (Dunque in tutto 18!).

Riassumo i Capitoli sottoscritti il 27 Giugno 1596 per i Baricellos.

«Lo scopo dell’Istituzione è di estirpare sos furtos, dannos et ruina dessas bingias, jardinos, ortos et atteras possessiones».

1°) I detti Gaspare Brasino Rustarellu e Girolamo Mansaneda, accettano e assumono per un anno, a cominciare da oggi, di custodire e sorvegliare i possedimenti dei cittadini, giurando di servire con diligenza e sollecitudine. Promettono e si obbligano di soddisfare tutti i danni che si faranno; eccetto gli incendi e il furto dei cavalli, per i quali non si obbligano.

2°) I Baricellos son contenti che il loro salario, e quello dei missos e compagnia sia pagato senza distinzione a mese compiuto, deducendo da esso la somma dei danni che sono obbligati pagare.

3°) Si obbligano con giuramento di sorvegliare perché i maniales (agricoltori) che vanno ai possessi, vadano a lavorare la mattina a un’ora di sole, e non cessino il lavoro nantis de calare sole, né prendano o portino palonesrabassones ecc.

4°) Avranno cura che sos teracos (i servi) non si rechino nei poderi in compagnia di altre persone, sì di giorno che di notte, senza licenza dei pobidos e giuramento dei padrones, altrimenti verranno arrestati insieme ai compagni e condotti in prigione, e quindi nanti al Viguere.

5°) Così pure non permetteranno che alcuna persona introduca nei poderi buoi, cavalli ed asini, e trovandovi bestie li condurranno in prigione, con multa di cui a loro la metà.

6°) Si obbligano di non toccar frutta dai possessi, od altro, in danno dei padroni.

7°) Si obbligano di non venire a composizione con nessuno per qualunque caso, sotto pena di 50 Ducati, un terzo dei quali all’accusatore, un terzo all’Ospedale e un terzo al Giudice (!).

8°) Non tralascieranno di far Guardia, salvo legittimo impedimento, sotto pena di 50 Ducati.

9°) I Consiglieri, quando lor credono, possono sospendere dall’officio i Barracelli che non fanno il loro dovere, pagando loro il tempo che hanno servito.

10°) I Consiglieri, attesoché le loro Guardia e Custodia vanno a vantaggio ed utilità dei padroni e signori dei possessi, è giusto che soddisfino al salario di Ls. 115 stabili, per ogni mese, ripartendo la somma fra i proprietari di possessi, da pagarsi ai Barracelli e compagni, e per essi a Brasino e Mansaneda, a sei uomini, quattro missos e altri sei uomini.

11°) Che i detti Barracelli, abbiano cura che nessuno durante l’anno entri nei possessi per caccia con canicon archibusi o ballestras, né per scalugiare (cogliere i racimoli d’uva), sotto pena di Ls. 5, secondo la qualità della persona.

12°) Che gli uomini, di cui i detti Barracelli formeranno la compagnia, debbano essere de bona vida e fama, ammessi dai Consiglieri.

Testi: Leonardo Zapino, Lorenzo Brigalla, Spadaio, e Antonio Mozatu (?).

(Tutto questo in tre pagine, mentre poi i Capitolati sono voluminosi e divisi in oltre 40 Capitoli).

Seguono nell’anno, molte denunzie di danni alle vigne.

Dunque (secondo me) i Barracelli esistevano nell’Isola in antico, furono sospesi per qualche tempo, e ripristinati dietro richiesta fatta dal Sindaco di Sassari nel 1575, e forse impiantati a Sassari nel 1596 sotto il comando del sotto Viguere Brasino e dell’Algazinu Reale Mansaneda.

In seguito i capi presero il nome di Capitani, titolo che trovo anche nel 1670, e fino ad oggi.

Il Tuveri dice che i Barracelli esistevano prima del 1662. Io ho sott’occhio un elenco di denunzie alla Barracelleria del 1670; ma la Istituzione era molto più antica.

Nel Diario di Usai, all’anno 1711, parlasi dei Barracelli che sfilarono in Piazza, guidati dal loro Capitano Antonio Angelo Faedda Marino. Questa compagnia avev scelto per suo barracello Sant’Antonio di Padova, al quale diede sempre la porzione degli utili.

Non sempre era ottima la scelta dei Barracelli. Il 6 Dicembre 1730 il Viceré scrive ai Consiglieri di Sassari approvando la nomina del Capitano Francesco Farru, colla condizione però che badi alla scelta poiché fra i barracelli ve ne sono alcuni reos de delitos, e non è bene (dice) che essi servano in un Corpo incaricato di estirpare i malandrini.

Nel 1794-95 s’istituì il nuovo Corpo delle Centurie: cento Barracelli con quattro Capitani; nell’esercizio seguente (1795-96) il Corpo Volontari, coi Capitani Don Giorgio Scardaccio e avv. Gioachino Mundula.

Nel 1816 i sassaresi mormorarono contro le Ronde, attribuendo loro, o alla loro poca sorveglianza, i furti e l’apertura frequente delle case di campagna.

Nel Gennaio del 1836 il Governatore Crotti, con gli onori militari, fregia della medaglia al valore il petto del Cav. Gerolamo Berlinguer, Capitano dei Barracelli, per le prove date in tre anni nella persecuzione dei malviventi.

Nel 1848 la Compagnia dei Barracelli era composta di 40 individui stabili e di molti sussidiari, scelti dal capitano, sulla terna annuale proposta dal Municipio ed approvata dal Tribunale. Si divideva in quattro squadroni guidati da un Tenente, ognuno dei quali era obbligato a servire per una settimana. Si cominciava l’esercizio il 1° Agosto e le Compagnie si recavano alla chiesa di S. Pietro per sentir Messa; indi, a cavallo, entravano da Porta Castello e si recavano al Palazzo di città per assistere alla lettura dei Capitoli del loro Statuto.

Dopo il 1848 i barracelli divennero volontari e furono poi retti dalla legge 22 Maggio 1853, indi con R. Decreto 14 Luglio 1898.

La Compagnia fu più volte sospesa e ripristinata in Sassari il 1° Novembre 1878. E continua ancor oggi il suo servizio, sebbene continuino i furti di campagna; come continueranno finché gli alberi daranno frutto e finché dentro le case vi saranno masserizie e provviste. I componenti sono 101, cioè un Capitano, due Tenenti, 2 Sottotenenti, 12 Sergenti,10 Caporali, 70 Barracelli, 1 Segretario, 1 Cassiere.

Dai documenti dell’Archivio mi risultano questi nomi di capi della Compagnia.

Nel 1670 era Capitano dei barracelli Filippo Murruzulo; nel 1698 Ambrogio Mela; nel 1706 Giuseppe Gravanu; nel 1715 Matteo Pinna; nel 1734 Gio. Antonio Riqueri; nel 1757 Antonio De Branca; nel 1774 R.do Piquello; nel 1782 V.zo Espano; nel 1788 Gio. Maria Conti; nel 1792 F.co Mariottu; nel 1794 Avv. Mundula e Don Scardaccio; nel 1816 Not. Antonio Maria Rujo.