In genere
Negli antichi tempi, il ceto medio, che è il più riguardevole, non esisteva. La società non era composta che di padroni e di servi.
«Sotto il dominio spagnuolo (scrive G. Pillito) la borghesia era appena nascente nelle città, appoggiata a professionisti che avevano studiato fuori dell’Isola, attingendo dottrine e vizi nella città e Stato dominanti; oppure a mercanti, i quali nei bisogni dell’erario e nella pessima finanza non miravano che ad arricchirsi».
La borghesia di Sassari si componeva di avvocati, medici, notai, proprietari senza impiego, mercanti arricchiti, procuratori, speziali, il che risulta dall’estrazione dei nomi delle quattro borse (seconda, terza, quarta e quinta) nelle quali s’imbussolavano gli scelti cittadini che dovevano fornire i quattro Consiglieri del Comune, meno il Capo Giurato (odierno sindaco) che veniva estratto dalla prima borsa dei nobili. Così si eleggevano i cinque Membri del Colloquio (Giunta) tutti stipendiati e aventi attribuzioni speciali.
Dei proprietari senza impiego abbiamo già parlato all’articolo vigne e oliveti: essi non si occupavano che della campagna e raramente prendevano parte all’amministrazione pubblica, oppure se ne occupavano svogliatamente.
Così stesso faremo a meno di parlare dei primari impiegati, quasi tutti nobili e in gran parte non sardi; e degli impiegati piccoli, la cui consegna era quella di non avere altra opinione, all’infuori di quella del Governo e dei Nobili.
Nei tempi passati non c’era via di mezzo nella scelta di una professione onorata. Erano tre i sogni dei genitori, degli zii, o dei tutori a riguardo dei figliuoli, dei nipoti, o dei pupilli; non si aspirava che a farli preti o avvocati o nella peggiore ipotesi medici. Al di fuori di queste tre vie non ve n’era altra possibile per chi voleva sul serio studiare.
Anche lo Spano, riferendosi all’anno 1820, così scrive: «Non vi erano allora le infinite carriere da procurarsi il pane, come ora (1877) che sono aperte alla gioventù studiosa; o avvocato o medico, o prete, o frate».
Le persone che godevano maggior considerazione nel ceto borghese erano i magistrati ed i professori dell’Università. Venivano in seguito i dottori, a cui la laurea poteva servire in certi casi di privilegio.
I nobili erano i soli che dirigevano la cosa pubblica nel Comune; i pochi dottori e professori che facevano parte del Consiglio Comunale erano sempre in minoranza, e di loro non si servivano che per compilare qualche relazione, poiché i Nobili, in massima parte, erano deboli in grammatica e in ortografia.
Del ceto dei mercanti abbiamo più volte parlato. Trattavasi di genovesi, napoletani, spagnuoli, o di altri forestieri, arricchitisi in Sardegna, i quali facevano qualche prestito al Municipio ed anche ai nobili, quando si trovavano in bisogno. Nonostante la loro invidiabile condizione questi mercanti non erano molto considerati; i sassaresi non li imitavano ed erano pochi quelli che si dedicavano al commercio.
Avvocati
Uomini di legge ve ne furono in ogni tempo e andarono aumentando sempre di numero, specialmente dopo la fondazione dell’Università Turritana.
Fin dal secolo XV la città di Sassari vantava avvocati di gran fama e basta accennare a quel Don Andrea del Sasso, che nel 1483 si recò a Madrid per difendere la causa del Viceré Ximene Perez, accusato di aver fatto uccidere la propria moglie Rosa Gambella.
Il 17 Agosto 1694, a proposito di una questione sorta coi mercanti corsi, fu sottoscritta una dichiarazione da tutti gli avvocati, doctores en entrambos los derechos, naturali e cittadini di Sassari. Apprendiamo da essa che i patrocinatori sassaresi erano in quell’anno i seguenti: Dott. Giovanni dell’Arca, Dott. Gavino Cesaracho, Dott. Gio. Antonio Martines Cassagia, Dott. Gavino Pisano Deliperi, Dott. Liperi Suzarello, Dott. Pedro Vadalino, Dott. Francesco Soliveras, Dott. Marongio y Frasso, Dott. Francesco Coloredda, Dott. Giuseppe Roca, Dott. Giovanni Squinto, Dott. Gavino Aquena, Dott. Antonio Giuseppe Deyu, Dott. Felice Dessì, Dott. Nicola Berenguer, Dott. Giovanni Sotgiu, Dott. Ant. Francesco Serra, Dott. Amogano, Dott. Gavino Cugia, Dott. Gio. Batta Gandulfo, Dott. Francesco Riqueri, Dott. Don Angelo Satta, Dott. Agostino Marongio, Dott. Giovanni Francesco Sisini, Dott. Giuseppe Martinez, Dott. Stefano De Serra.
Sono dunque 26 avvocati, senza tener conto di quelli che non avranno sottoscritto la petizione; numero ragguardevole per quel tempo, quando si consideri che oggi (1908) gli avvocati inscritti all’Albo pretorio sono precisamente 100. Nell’elenco del 1694 due soli si sottoscrissero Don, ma è certo che ve n’era qualche altro nobile.
Non seguiremo il movimento degli avvocati sassaresi nei due secoli seguenti, diremo solo che in Sassari, come negli altri paesi dell’Isola, per la smania del litigare si ricorreva con piacere ai tribunali.
Nell’archivio comunale di Sassari sono piuttosto numerose le cause trattate dal Municipio, e non vi ha testamento dei Consiglieri in cui non si raccomandi la continuazione di qualche lite.
Noteremo solamente che la vita dei legulei non era allora troppo agiata, perché le parcelle non erano grosse, essendo per lo più cause di poca importanza. Guai se la maggior parte di questi avvocati non fossero stati proprietari di case, di vigne o di oliveti!
Ma parecchi di essi, al contrario, vivevano nelle strettezze e abbiamo qualche documento che ce lo dimostra.
Il 10 Novembre 1773, il Ministro scrive al Viceré: «Il Dottore Girolamo Branca e moglie Maria Delrio chiedono al Re un soccorso, perché hanno dieci figli tra maschi e femmine, e le figlie sono prive dei necessari indumenti per andare in chiesa». Il Re fa loro dare 50 lire di Piemonte, dicendo risultargli essere persone dabbene, quanto perverso è il loro figlio.
Notai
Il ceto dei notai suscitò sempre questioni, perché non si sapeva come classificarlo e a qual punto metterlo nella scala sociale.
Molte volte essi ricorsero al Governatore od al Viceré, perché negli inviti alle feste e alle cerimonie ufficiali erano stati lasciati indietro, o dimenticati.
Nota il Sisco, che quando nel 1765 venne restaurata l’Università di Sassari, i professori si lamentarono perché i Birri nelle occasioni solenni venivano dietro di loro. Il Viceré allora dispose, che nelle funzioni ufficiali i Birri dovessero andare in capo al corteo, insieme ai Procuratori, ai Notai ed ai Segretari. I Birri erano dunque equiparati ai Segretari, ai Procuratori ed ai Notai.
Riferendosi all’anno 1820 lo Spano scrive che altra delle carriere cui i giovani si dedicavano era quella notarile, arte allora e non scienza (egli dice) perché non aveva da fare coll’Università, bastando, dopo una breve pratica presso qualche Notaio, che i giovani si presentassero all’esame presso una delegazione della R. Udienza. Aggiunge pure: «Era un mestiere nobile, ma per lo più erano scribi oziosi e la peste dei villaggi, poiché si prestavano a scrivere anonime, od articolate, com’essi dicevano, contro gli onesti cittadini, per cui erano odiati e fortunati quando scampavano a qualche fucilata.
«Della stessa razza dei notai erano i Delegati, che diventavano i servi dei feudatari, se erano ricchi, e bastava il vano titolo perché un villaggio fosse rinomato come illustre, dal numero che poteva vantare di Notai, Delegati e Preti».
Pare che i Notai fossero in massima parte di poca levatura, anche nella parte ecclesiastica. Nel Parlamento del 1544 si faceva osservare essere risultato dall’esperienza che i Notai apostolici dell’Isola erano persone imperite, essendo la maggior parte stati creati senza esame e perciò si proponeva che essi non potessero ricevere atti nell’Isola senza l’autorizzazione reale.
Conviene rilevare che tutti i Notai scrivevano in lingua spagnuola fino ai primi lustri del secolo XIX, poiché la lingua italiana riusciva loro difficile. In molti strumenti, stipulati dalla Confraternita di S. Croce nel 1762 (quarantadue anni dopo il passaggio della Sardegna al Piemonte) trovo che si comincia l’atto con la semplice dicitura in italiano: Certifico io Notaio pubblico infrascritto, e subito dopo lo spagnuolo: de como, ecc. ecc.
Per dimostrare in qual concetto fossero tenuti i Notai, anche in tempi relativamente civili, mi basterà citar la legge di Carlo Felice, in cui leggesi: «L’ufficio di Notaio non porterà alcun pregiudizio alla nobiltà di chi lo esercita».
E il Tuveri, nel 1848, scrive in proposito che il detto articolo di legge «sarà un monumento del grado di corruzione cui la vecchia monarchia aveva portato la pubblica opinione con le sue distinzioni arbitrarie».
Bisogna però notare, ad onore del vero, che se nel passato vi furono in Sassari Notai di poca elevatura, più numerosi erano stati quelli valentissimi a cominciare da Giovanni Casayo, Jago Manchone e Antonio Cassagia del secolo XV: Meriola de Olives, Pietro Paolo Savio, Francesco Meriola, Stefano Fara, Giovanni Angelo Sunier del secolo XVI; Matteo della Bronda, Giovanni Antonio Quessa, Stefano Villino del secolo XVII e infine nel secolo seguente: Gio. Battista Sori, Antonio Bartolomei, Arimondo e qualche altro, tutti segretari della Casa Comunale.
Medici e chirurghi
Fin dall’istituzione dell’Università non si pensò che alle due cattedre di Teologia e Giurisprudenza; quella di Medicina non s’impiantò che molto tardi; e bisogna pur dire che le lezioni che s’impartirono non avevano la serietà e l’importanza che hanno oggidì, e i giovani le frequentavano poco volentieri, senza grande interesse.
Daremo sui medici e chirurgi alcune notizie a spizzico, in ordine cronologico.
Negli Statuti di Sassari del 1294 si ha un Capitolo che imponeva ai medici, sotto pena di una multa, il giuramento di non far lega coi farmacisti; prova questa che in Sassari, in quel tempo, vi erano medici e speziali.
1591 (31 Gennaio). – In quest’anno erano in Sassari tre soli medici: il Dott. Nicolò Quasina, il Dott. Giovanni Ulbo e il Dott.Giacomo Baretta. Al primo si assegnò lo stipendio di L. 300 annue per l’assistenza dell’Ospedale, a condizione però che non uscisse fuori della città senza il permesso del Magistrato Civico.
1602. – Nel Parlamento di quest’anno si domandava: «Che essendovi persone totalmente ignoranti dell’arte chirurgica e spesse volte illetterate (!), le quali nondimeno osavano intraprendere le cure dei malati, nessuna di esse potesse venir ammessa all’esercizio, se prima non avesse fatto due anni di pratica sotto esperti cerusici, e prestato in seguito un saggio del suo sapere dinanzi al Protomedico, a tutti i dottori e a tre chirurghi. Inoltre, che gli esercenti fossero di nuovo esaminati, e i non idonei rejetti, e ridotti al solo ufficio di barbieri». Ciò dimostra che allora tra barbieri e medici non vi era troppa differenza.
1681 (7 Febbraio). – Il Dott. Salvatore Scardacho fa una lunga relazione, riferendo che si hanno oltre 600 ammalati, e nel periodo di un mese morirono da otto a 12 persone al giorno, tanto per la molta povertà, che per il clima tan seco dell’anno passato.
1763. – In quest’anno erano in Sassari due medici: il Dott. Giacomo Aragonez, incaricato dalla città (senza salario) dell’assistenza dei leprosi, e il Dott. Gavino Fenu, il quale doveva aver cura degli infermi, parimenti senza salario. Quest’ultimo riceveva però 6 scudi all’anno dai Religiosi che assisteva.
1769 (30 Agosto). – Il chirurgo Ignazio Zilata di Sassari chiede un aiuto per il soverchio lavoro che fa nella cura dei prigionieri, per ordine superiore. Il Protomedicato Generale di Cagliari osserva che la fatica deve dividersi fra tutti i chirurghi di Sassari e fra l’altro scrive: «Trattandosi però di certi travagli, li quali non appartengono alla chirurgia, come per esempio il radere le barbe (?!) sarebbe conveniente distribuirli solamente a quelli che ne fanno professione».
1779. – Avendo il Re incaricato un professore dell’Università di Cagliari di esaminare una dissertazione del Dott. Gavino Caval di Sassari intorno alla febbre endemica della Sardegna detta intemperie, n’ebbe questo giudizio: «La dissertazione contiene una dottrina sana, chiara, utile e ben ordinata… ma si desidererebbe che l’Autore, lasciando le cose più comuni e dagli autori raccolte, si restringesse a dire quelle sole che sono necessarie all’esposizione del suo soggetto».
1780. – Lo speziale Pinna Bene presentò un conto di medicinali, provvisti ai prigionieri nell’anno 1805, ascendente a lire sarde 4.549.
Verificata la nota in Cagliari, secondo la tariffa, risultò che aveva domandato in più Ls. 1.304 (!): «Notasi inoltre risultare l’uso frequente delle misure di china con oppio, muschio, acqua spiritosa di cannella, laudano liquido, canfora e sciroppo, somministrati per circostanza singolare (!) a diciassette carcerati, tutti affetti dallo stesso malore, uguale grado, nel giorno stesso, in uguale circostanza di complessione e sintomi» (!!!).
1811 (14 Marzo). – Si discute se al Medico delle Carceri di Sassari siano dovuti uno o due reali per ogni visita a ciascun carcerato, e se per conseguenza, al Chirurgo debba darsi la metà, cioè mezzo reale o un reale.
Scrive l’Angius, nel 1848, che: «Sino a non molti anni addietro la scienza più coltivata era la giurisdizione; ma le scuole di medicina erano quasi deserte, perché non vi andavano d’ordinario che i giovani più scarsi d’ingegno (!!!), i quali disperavano di poter riuscire nello studio delle leggi e si credevano poco atti anche agli studi teologici». Nota lo stesso Angius, che «i più, tra i medici, avevano appena fatto gli studi di grammatica, né sapevano scrivere neppur sotto dettato!».
Gli studi di Medicina e di Chirurgia in Sassari incominciarono veramente a prendere incremento per merito di due professori del Continente, e cioè il Prof. Filippo De Michelis, di Casale (1820) per la chirurgia, e il Prof. Carlo Giacinto Sachero da Sciolze (1826) per la medicina.
Anche lo Spano, riferendosi all’anno 1820 così scrive: «Nelle leggi sarei stato un cattivo studente, perché era scienza per me difficile, quindi sarei riuscito un affamato e pessimo avvocato. Avevo un po’ di genio per la medicina, ma era una scienza in allora aborrita (!) e disonorata (!!) nelle famiglie, specialmente la chirurgia; e quelli inscritti in questo corso erano abbominati ed isolati dagli altri studenti universitari, i quali li fuggivano come se fossero appestati, anzi soggiungo che ne ho conosciuti molti di questi studenti, che, per aver abbracciato questo corso, sono stati abbandonati dalle rispettive famiglie… Mi decisi per la Teologia, perché vi erano le sacre decime, di buona memoria, che allettavano la maggior parte degli studenti». Anche lo Spano afferma che fu il De Michelis quello che sradicò la superstizione e l’avversione che si aveva da tutti per la medicina. Dice ancora, che, per dispetto, si dava ai medici il nome di barbitonsori… e ciò perché tutti i barbieri facevano allora i medici.
1837 (14 Luglio). – Il Viceré scrive da Cagliari al Comandante di Ozieri: «Da particolari riscontri sono informato che il chirurgo Salvatore Contini esercita anche la medicina interna, e che i barbieri costì residenti, favoriti dallo stesso chirurgo, si arbitrino ad eseguire operazioni chirurgiche e flebotomiche contro il Regolamento…».
Dopo il 1848 i Chirurghi erano già molto apprezzati e furono sempre più numerosi i medici che si dedicarono a questo importantissimo ramo della scienza medica, acquistando buon nome.
In tempi più vicini a noi, la nostra Università ebbe insigni docenti nella facoltà di Medicina e Chirurgia e sarebbe superfluo elencarne i nomi, dato che essi sono notissimi a tutti e da tutti stimati.
Farmacisti
Si è già detto che fin dal secolo XIII era invalsa la convinzione che i farmacisti facessero lega con i medici, epperciò gli Statuti del 1294 stabilivano che ogni medico dovesse prestar giuramento di fedeltà nell’esercizio della professione.
1598 (26 Maggio). – Si pagano all’apoticario Ambrogio Deliperi Ls. 143 per medicine somministrate secondo la nota del protomedico Coasina: nota primitiva di L. 220, ridotta poi ad un terzo.
1602. – In una petizione presentata in quest’anno al Parlamento, leggesi quanto in appresso: «Essendosi riconosciuto nelle visite fatte alle botteghe degli speziali, di aver non pochi, senza nozioni d’arte, osato manipolar sciroppi, purghe ed altri medicinali con danno del pubblico; e che altri individui, venuti da oltremare, osarono mettere in vendita medicine stantie e venefiche, il che proveniva dalla facilità con cui si concedevano le licenze ed i privilegi – si ordina che nessuno possa far lo speziale senza prima aver fatto pratica in Cagliari per sei anni, ed essere esaminato in ultimo dal Protomedico, da tutti i medici e da tre speziali».
1603. – In quest’anno era in rinomanza in Sassari il boticario Padre Agostino Abozzi, al quale il Municipio rimborsò una spesa di medicinali somministrati ai malati dei Conventi.
1720 (12 Dicembre). – Nella Casa Comunale si solevano fare gli esami pubblici d’idoneità per l’esercizio delle spezierie e abilitazione degli speziali.
Riporto quello che fu dato nell’anno e giorno su indicato. «Si rilascia un attestato d’idoneità al farmacista Salvatore Mundola di Tempio, esaminato nel salone del Consiglio. Assistevano il Dott. Gio. Maria Runcu, protomedico di Sassari; presiedeva come padrino Don Nicola Saraoni; intervennero per esaminatori Don Francesco Sisco, fisico, e Gio. Batta Asuni, boticario, ambi come operai dei Gloriosi Martiri Cosimo e Damiano per quest’anno e Paolo Deffenu altro boticario, concorrendo a dare all’esame di farmacista una solennità veramente singolare».
1741 (14 Giugno). – Si era dato principio alla visita dei Boticarios entre las tiendas de ellos. Dalla tienda (bottega) di Francesco Manfredi vennero tolte alcune droghe, le quali furono portate alla Casa Comunale, dove erano riuniti il Giurato secondo Don Matteo Quasina, il protomedico, Dott. Giuseppe Antonio Fancello, il Dott. Andrea de Navarro, Dott. Giuseppe Pinna, Dott. Giorgio Manunta, Dott. Gavino de Fenu, tutti fisicos della città di Sassari; più Salvatore Mundula, Antonio de Sina, Gavino Asuni e Gavino del Mestre, boticarios; e subito il protomedico dispose che si verificassero le droghe, per vedere se erano buone ed eseguite secondo l’arte. Si presentò intanto alla riunione il R.do Francesco Antonio Casanova, cognato del Manfredi, il quale trovavasi fuori di Sassari, e insistette che si facesse la verifica delle droghe nella botica di lui; ma pregava il magistrato Civico perché il protomedico scegliesse altri periti, perché suo cognato dava per sospetti i boticarios Mundula, del Mestre ed Asuni. Si nominò Pablo de Fenu; ma questo si rifiutò, dicendo che stava manipolando altre droghe de unguentos, governando esso la botica del quondam Juan Battista Asuni.
1754 (27 Luglio). – Los Boticarios di Sassari Salvatore Mundula, Gavino Asuni, Gio. Antonio Asuni, Gavino del Mestre, Vincenzo Marquetto, Giovanni Michele Mundula, Antonio Vincenzo Campus e Sebastiano Diana, ricorrono al Municipio esponendo che essi non possono alimentare le proprie famiglie, né provvedere le loro botiche dei medicinali necessari per la cura degli infermi, per gli abusi che da qualche tempo eransi introdotti da diversi medici laureati, da molti chirurghi e da altri non appartenenti all’una e all’altra facoltà, tanto in Sassari che nei villaggi, somministrando medicine di uso esterno e interno a chicchessia, ed eravi pure una donna, totalmente inesperta del mestiere, che teneva pubblica butica, vendendo a pagamento a chicchessia medicinali; e così faceva anche un Religioso osservante che dirigeva una farmacia vendendo al pubblico, mentre doveva servire i soli religiosi, contravvenendo ai sacri canoni e Bolle Pontificie, che proibivano tal genere di commercio, senza la visita del Protomedico e del Collegio Medico. I farmacisti chiedevano provvidenze e la supplica venne notificata il 1° Agosto al Vice Protomedico, Dottore in arte e Medicina Jaime Aragones.
1807. – Risulta da un rapporto ufficiale, che il 15 Giugno furono prescritte due oncie di sale inglese a 36 carcerati, che il 16 fu ordinato per tutti (?) decotto di china dolce, bardana, canna montana, salsa pariglia, foglie di cicoria e di fumaria, con nitro depurato. Il 19 venne prescritto per ciascuno dei 36 carcerati 4 oncie di unguento pro scabie, la cui cura costò per ognuno Ls. 28.17 (?). Il Consiglio medico di Cagliari rileva, a questo proposito, «la facilità nei medici di usare in modo assai costoso la china, l’oppio, la canfora, il laudano liquido, l’acqua di cannella e particolarmente il muschio in dosi forti, e forse troppo continuato, con probabilità anche che lo speziale non abbia potuto somministrare tutta la quantità del muschio che risulta dal ricettario di un anno, poiché una quantità simile non esisteva forse in tutte le spezierie del Regno… Certo che un simile trattamento suol farsi ordinariamente ad ammalati nelle proprie case, perché di molto costo, e non dovrebbe senza assoluta necessità usarsi in un carcere, a spese della Regia Azienda…».
E’ chiaro che si sospettava della solita lega tra medici e farmacisti. Si osservava, insomma, che i Carcerati infermi erano lautamente trattati. Noi noteremo solamente, che ai 36 prigionieri si somministravano le stesse medicine, metodo assai facile e sbrigativo per i medici, per quanto non egualmente buono per gli ammalati!
La cosa pare durasse a lungo; ma io dirò solo che in Sassari il 22 Agosto 1855 (quando il cholera declinava) il Municipio scriveva alla Commissione sanitaria, denunziando gli abusi dei farmacisti tanto per la falsificazione dei medicinali, quanto per i prezzi troppo alterati. E notava per prova, che il farmacista Delitala pretendeva L. 20 (ridotte poi per favore a L. 10) per cento grammi di ammoniaca liquida, che valeva Ls. 2.88; ed il Crispo aveva fatto pagare L. 6.48 ventinove oncie di sciroppo di tamarindo, che risultò per di più falsificato, dietro perizia degli esercenti.
Qui faccio punto sull’argomento, ché nei tempi posteriori la scienza farmaceutica andò sempre progredendo, fino a toccare un alto grado di perfezione. E oggi le specialità, che piovono da tutte le parti di Europa, hanno da un pezzo sostituito l’acqua di cannella e l’unguento per la scabbia che si somministrava ai poveri ammalati un secolo fa, nel 1807.
Gli impiegati
Una delle principali aspirazioni e preoccupazioni della classe media, ed in parte anche della più alta, fu sempre quella degli impieghi. Ottenere una lucrosa carica, per poter correre ogni mese a ritirare uno stipendio.
Non appena la Spagna fu padrona della Sardegna, essa pensò di mandarvi i suoi figli, incoraggiandoli con la concessione di feudi, di titoli nobiliari e di laute cariche pubbliche, a spese dei sardi. Né diversamente fece la Casa Savoia, sotto il cui governo furono molti i piemontesi mandati nell’Isola per crearsi una fortuna e una posizione onorifica e comoda. E l’esempio fu dato dalla stessa famiglia reale, quando si domiciliò in Sardegna nel 1799: tutti i figli del Re, e così i rispettivi cortigiani, furono innalzati a cariche lucrose.
I sardi non tardarono a lamentarsi dei soverchi pesi, e chiesero almeno il conforto di una passeggiata mensile alla Regia Tesoreria, per riscuotervi un mandato, in compenso della fatica oziosa a cui volentieri si sottoponevano.
Impieghi, impieghi, impieghi!
Fu il grido incessante dei sardi tutti, in ogni tempo; ma i regnanti chiusero le orecchie alle suppliche, facendo capire che gli impieghi erano un diritto dei conquistatori, come il pagare le spese era un dovere dei conquistati. Eccovi alcune notiziette a spizzico in appoggio di queste affermazioni.
1545. – Nel Parlamento di quest’anno il Sindaco di Sassari chiede che le dignità ecclesiastiche (arcivescovadi, vescovadi, abbazie, canonicati) che si davano ai forestieri, si dessero invece ai soli sardi.
1546. – Il Sindaco di Sassari chiese ancora in Parlamento, che almeno i dottori della R. Udienza fossero sassaresi o nativi del Logudoro.
1547. – Il Re ordina che, stante le strettezze delle finanze, si sospendessero gli stipendi a tutti i R. impiegati, eccettuati gli artiglieri, i soldati, ecc.
1548. – Il Sindaco di Sassari rappresenta in Parlamento che i già ricchissimi di Sassari gemevano nella indigenza per le rendite in ribasso, per i dazi civili aumentati, per la mancanza degli inquilini, e per la morte dei coloni e ciò in conseguenza della terribile peste del 1652.
1549. – Si domanda in Parlamento che la privativa delle cariche civili ed ecclesiastiche sia concessa ai soli sardi.
1550. – Gli Stamenti tornano a domandare che tutti gli impieghi siano dati ai sardi; e per dimostrarne i meriti citano i cittadini che più si distinsero nella carriera ecclesiastica, nella giuridica e nella militare.
1551. – In occasione dell’avvento al trono di Carlo Emanuele III, i Consiglieri di Sassari domandano fra le altre cose, che si tengano presenti i sassaresi nelle terne per gli impieghi civili ed ecclesiastici, poiché molti benemeriti sassaresi vivono quasi senza speranza, per essere poco calcolati.
1552. – Il Viceré Lascaris tocca il tasto della piaga degli impieghi, distribuiti ai soli forestieri, esalta il merito dei sardi e scusa il loro risentimento. Ma il Re fa orecchie di mercante!
Il malumore continuò per una ventina di anni, fino a che nel 1793, dopo la vittoria ottenuta sui francesi che avevano bombardato Cagliari, i sardi chiesero in ricompensa… la concessione degli impieghi. Al diniego della domanda tenne dietro la rivolta del 1795 con l’assassinio dell’Intendente Pitzolo e del Generale Marchese della Planargia, e poi conseguentemente l’assalto di Sassari nel Dicembre dello stesso anno, ed in ultimo, nel 1796, la rivoluzione angioina che fruttò la morte sul patibolo a tanti ardenti patrioti.
Il 28 Luglio 1794 si scrive al Magistrato della R. Udienza, «essersi presentati nel 23 Giugno al Municipio alcuni primari soggetti di Sassari di ogni ceto: Dignitari Capitolari, Parroci, Feudatari, Cavalieri, avvocati e cittadini per eccitare i Consiglieri a supplicare il Re, affinché venissero tenuti presenti i benemeriti sassaresi e del Capo nelle terne che dovevano farsi per li vacanti impieghi di ogni categoria…».
Anche Sassari non rimase indietro nella domanda di cariche. Il 9 Settembre 1794 i Consiglieri scrivono al Presidente del Senato in Torino, chiedendo compensi per la cacciata dei francesi, cioè impieghi come a Cagliari.
Ho sott’occhio una Nota di 193 Postulanti per gli Impieghi vacanti, 80 dei quali cagliaritani, e 20 sassaresi.
Le domande sono per gratificazione di servizi prestati, per impieghi nella Ricevitoria del grano, nelle Milizie, nella Zecca, nella Stamperia, nella Posta, nell’Archivio, nella fabbrica dei tabacchi, ecc. ecc.; si chiedono i posti di assaggiatore e cambista, di chirurgo del Presidio, di medico delle carceri e così via via; oppure la domanda si limita a un impiego in genere, o di sua portata.
Trascrivo qualcuna di queste richieste: l’avv. Costantino Musio di Orani si raccomanda per impiego in genere in Cagliari od in Sassari.
Il prodottore Efisio Melis di Cagliari, per segretario del Consiglio di Stato!
Gavino Pinna di Sassari, per Pro Fiscale Regio nel caso morisse l’attuale Luigi Ziliara (!).
Giacinto Barletti di Sassari, per controllo tabacco, oppure Direttore della Posta di Sassari.
Don Francesco Nadalino di Sassari, per tenente dei Dragoni, con l’impegno di arruolare 20 soldati a proprie spese.
Francesco Cilocco di Cagliari per segretario nel R. Archivio.
Don Luigi Cao di Cagliari, per Direttore delle saline, o controllo generale, o piazza di Giudice.
Simone Forneris di Alghero, per Direttore delle R. saline, o Commissario di guerra, o Direttore nella R. Tanca di Paulilatino, con paga, grado e anzianità di Capitano nel Corpo dei Dragoni.
Melchiorre Basu d’Iglesias, per cornetta dei Dragoni.
Il sacerdote Francesco Marcello di Cagliari, per Cappellano della Mezza galera, con aumento di paga.
E mi pare che bastino. Devo solo notare che molti padri domandano impiego per i propri figli.
E risulta così, come da un capo all’altro dell’Isola, non si facesse che chiedere impieghi, sempre impieghi!
Riepilogo
La parte più viva, più laboriosa, più pensante del paese era dunque il ceto medio e da questo scaturì ogni iniziativa per qualunque riforma, qualunque progresso, qualunque miglioramento da apportarsi nell’ordine sociale, e fu pure questo ceto che diede il maggior contingente di teste al patibolo, in grazia di quella libertà che costò ai popoli tanti sagrifizi di sangue e di lavoro.
Leva potente di civiltà, il ceto medio è oggi oltremodo ingrossato, mercé la istruzione impartita dalle scuole; è ingrossato dal ceto dei popolani, i cui figli seppero, con la volontà e con lo studio, innalzarsi nella scala sociale, passando trionfanti dai più bassi ai più alti gradi.
Dall’altra parte, intanto, il ceto medio perde qualche membro della sua famiglia, il quale passa alla classe nobile, o per titolo acquistato col danaro o per singolare benemerenza, nello stesso modo che passa al ceto medio qualche nobile convertito alla democrazia, poiché molte volte vi trova qualche guadagno che non ha potuto trovare nei suoi ranghi.
Inutile dire che le linee di demarcazione fra le classi sociali vanno ogni giorno diventando più tenui e sbiadite. La vera nobiltà è riverita e rispettata, quando avvalora i suoi titoli coi pregi della mente e del cuore. Certamente oggi non è possibile pronunciare la frase che sfuggì incautamente allo storico Pasquale Tola nel 1840, a proposito del giudizio del Manno su Angioi; di Angioi di cui il Tola dice: «Aggirato da feroci e tristi uomini che nulla sapevano di governo, e che odiavano l’aristocrazia perché non le appartenevano».