Nettezza in genere
Gli antichi romani tenevano i capelli rasi; il collo, le braccia e le gambe nude, e non sognavano che acquedotti, terme, bagni. Gli uomini del medioevo, all’incontro, indossavano eleganti abiti di seta e di velluto, lasciavano crescere la zazzera fin sopra le spalle, ma poco si lavavano, poco si pettinavano, e ben di rado cambiavano le maglie e le calze. Gli eremiti si ritiravano in una spelonca per vivere nella sporcizia, e morivano in odore di santità. Per liberarsi dalla rogna, o lebbra, molti re innalzavano chiese, fondavano monasteri, e facevano lunghi viaggi in Palestina, infliggendosi la penitenza di non cambiar la camicia.
Alla pulizia non si badava punto, né a Sassari, né altrove. L’igiene, scienza tutta moderna, era sconosciuta ai nostri antichi padri i quali, se non si compiacevano, certo non si accorgevano o si abituavano al sudiciume in cui vivevano.
Sassari in ogni tempo fu poco pulita, specialmente per due ragioni: per la sua condizione di città agricola, e per la consuetudine dei suoi contadini che non dormivano in campagna, ma rientravano ogni sera in città e nelle proprie case, in compagnia dei loro cavalli e dei loro cagnetti. Anche i 300 e più asini, che giornalmente trasportavano l’acqua dal Rosello e dalle Concie, avevano la loro stalla in casa degli acquaioli. A tutto ciò si aggiunga la mancanza assoluta dei canali di spurgo, le feccie dell’olio e del vino che colavano e scorrevano lungo le vie, le case accatastate in rioni miserabili, e finalmente la cinta di muraglie che chiudeva ermeticamente tutto questo ben di Dio.
Gli stessi sassaresi, sempre di spirito e sarcastici, erano i primi a riconoscere che la sporcizia regnava nel paese; ma si contentavano di combatterla con la satira, non potendo fare altrimenti.
Quando verso il 1829 fu collocato il lungo balcone di ferro nelle quattro finestre dal nuovo Palazzo Civico, la folla curiosa che stipava la piazza, colse l’occasione per stabilire il confronto tra l’eleganza dell’edifizio e la mancanza di pulizia. Lungo il balcone di ferro sono quattro fregi in forma di un S. Qualcuno domandò che cosa significasse; ed un bello spirito rispose: Sassari, Sarà, Sempre, Sporca!
La storia non ci tramandò il nome del maldicente profeta; ma ancor oggi, dopo tre quarti di secolo, i sassaresi che fissano il balcone ripetono sghignazzando il motto mordace.
Ci conforti il pensiero, che quasi tutte le città d’Europa erano allora nelle stesse condizioni di Sassari – in modo speciale Marsiglia… e Barcellona.
Nelle vie
La Repubblica Sassarese, nel 1295, aveva pensato alla nettezza delle vie. L’art. 133 degli Statuti ordinava che si chiamasse ogni anno un buon uomo da ogni quartiere, affinché sorvegliasse il servizio della nettezza delle vie, a spese del proprietario di ogni casa, od anche del vicino se lo credeva necessario; ed i quattro buoni uomini dovevano riunirsi in seduta per riferire in proposito.
1634 (26 Febbraio). – La Giunta si lamenta della poca nettezza delle vie e della poca cura che si prendeva il Mostazaff, che pure era stipendiato; poiché es una lastima, que casi no se hi pot passar (è un peccato, poiché non si può quasi passare). Si delibera che al Mostazaff s’indichino tutte le vie e le porte che deve far pulire, altrimenti gli si tolga il salario. Il Mostazaff, pur chiamato Castaldo e Amostassen, era l’incaricato della sorveglianza dei viveri e della nettezza pubblica.
1690 (Giugno). – Il capo Giurato espone, che nella città si verificano alcuni disturbi (achaques), e si gode cattiva salute per le immondezze (suciedad) che vi sono. Propone che si facciano alcune carrette (carratones) per trasportare le immondezze fuori delle muraglie, pagando mezzo reale (medio real) per ogni carica (carretada); e con ciò la città sarebbe pulita, e liberi i cittadini dagli acciacchi. Si delibera di provvedere i carrettoni e di metterli a punto a tal que aya buena salud! – Io credo che la deliberazione non abbia avuto effetto, poiché non trovai più alcuna menzione di carrettoni.
1693 (Aprile). – Don Martino Murgia chiede al Municipio, a scopo della publica polisia, la concessione di un tratto di terreno che era a fianco della sua casa, in via S. Chiara; il qual terreno serviva di sterquilinio (muladar) a danno della via pubblica, per la sozzura (suziedad) e per le esalazioni (malas vapores) che tramandava. – Si capisce che Don Martino, col pretesto della publica polisia, voleva il terreno gratis per allargare la sua casa!
1781. – Nelle memorie confidenziali, spedite nell’Agosto al Governatore dal Municipio di Sassari, tra le altre cose si raccomanda la pulizia della città, risultando che si lasciano le vie «piene da per tutto di lordure ed intoppi, con continuo rischio d’inciampare e cadere, specialmente d’inverno; il che è attribuibile alla negligenza del Mostazaff, ossia Vicario di Polizia, che per lo più finora fu un soggetto miserabile (!), di poco o niun concetto, e talvolta anche avvilito dal pubblico» (!)
1822 (26 Gennaio). – I Consiglieri si lamentano col Governatore per un canale sotterraneo che va da un pozzo morto della Carra grande fino a Porta Macello, dove calavano tutte le immondezze delle Carceri e le murchie di un molino, con pericolo d’inquinare le acque di Rosello. Si lamenta parimenti, nello stesso anno, il trasporto indecente che i forzati facevano ogni giorno delle feccie delle carceri, ammorbando le vie dove passavano.
1838 (21 Maggio). – Il Municipio scrive al Governatore: «- La mondezza della città e del suo circondario è stata in tutti i tempi lo scoglio delle cure dei Governatori, e maggiormente del Consiglio Comunale. Per quanto si è fatto, non si sono ottenuti per provvedere a questa nettezza interna ed esterna che soli quattro invalidini, che costituiscono tutta la sua Guardia Civica, e tre soli forzati». Si domandano altri nuovi soggetti.
1841 (Maggio). – Il Viceré raccomanda ai Consiglieri di Sassari la nettezza delle vie, che sono indecenti. Il Municipio risponde, che si provvederà, sebbene la città non sia veramente nello stato di indecenza in cui viene rappresentata. Il pudore dei sassaresi riconosceva la sporcizia, ma non tollerava che altri gliela rinfacciasse!
1842 (Settembre). – Il Municipio delibera di lastricare un tratto della via Condotti prospiciente la casa detta di San Carlo, perché il parroco reclamò, dicendo che non poteva ivi amministrare neanche i sacramenti in tempo di malattia!
1844 (Aprile). – Lagnanze del Municipio al Governatore per la impossibilità di ottenere la nettezza delle vie, perché si concedono forzati convalescenti che non possono tirare le carrette. Si domandano galeotti sani e robusti. – I proprietari delle case, lungo una traversa di Via lunga, ricorrono al Municipio perché non possono accedere alle proprie case, a causa del fango e dell’acqua che rende impossibile il transito.
1850. – Reclami contro l’Ospedale Militare, perché le tinozze scoperte, portate dai galeotti sulle spalle, attraversavano ogni cinque minuti le vie per recarsi a Porta d’Utzeri, lasciando lungo il cammino scoli e puzzo insopportabili. Si ordinò che siffatto trasporto si effettuasse durante la notte. – E qui mi fermo… all’alba della Costituzione!
Muraglie, porte, monasteri
Le benedette immondezze provocarono lamenti anche per la sicurezza della Piazza Militare, delle monache, e delle cinque porte della città. Riporteremo alcune notizie:
1602 (Maggio). – La Città fa un’elemosina di Ls. 50 alle monache Clarisse, perché tolgano un letamaio ch’era dietro il monastero, per il quale, con una scala si poteva entrare nella Clausura. Il cronista Sisco ci dà il nome di colui che si accinse all’impresa: Giacomo Cordida. Ma perché il Municipio non fece togliere il letamaio a proprie spese?
1627 (Giugno). – Volendo rendere nette le porte e le muraglie, vennero nominati due Mostazaff de fora, assegnando ad ognuno le località: Simone Arche, da Porta Nuova a Porta d’Utzeri; e Agostino Vico dalla fontana di Rosello alla Porta S. Antonio e al cammino dei Cappuccini – con Ls. 25 all’anno.
1629 (Giugno). – Nel testamento di quest’anno, i Consiglieri uscenti raccomandano ai nuovi eletti di levare il cumulo delle immondezze (l’arga) dalle muraglie, perché per mezzo di esse si poteva salire e scendere dalla cinta.
1633 (14 Giugno). – I Consiglieri deliberarono: «Attesoché nelle porte ed entradas della nostra città vi è molta arga y brutesa, in modo che no se pot passar, e si sono offerte alcune persone per pulirle, si bilanciano Ls. 60 per pulirle, dando ai richiedenti facoltà d’imporre ai contravventori mezzo reale di multa – a meno che essi non gettino le immondezze dove porrà il segnale l’incaricato dell’ufficio». – Questo ci fa sapere che il segnale non era fisso, ma si cambiava di posto a volontà del Mostazaff.
L’anno seguente il Consiglio deliberò che in ciascuna porta della città fosse messo di piantone un Mostazaff, pagato col salario di 12 lire all’anno (!) per impedire che nessuno vi gettasse delle immondezze. – Ecco un’idea felice per tener pulite le cinque porte della città!
1636. – Con lo scopo di provvedere alle guerre, il Governo ordinò di far riparare le mura di Sassari, le quali, per i cumuli delle immondezze si potevano facilmente scalare. Chi lo sa? forse i francesi, nel 1527, si servirono di questi cumuli per impadronirsi della città di Sassari!
Fuori di porta
Fin dal 1294 quattro colonne con una croce soprapposta indicavano fuori di porta i punti designati dagli Statuti per fare il gettito delle immondezze e del letame. L’art. 90 prescriveva i siti dei gettiti, a seconda le porte da cui si usciva, cioè: – gli orti di Guantino Catoni e di Vincenzo de Lella, per porta Capo de villa; la valle di Ugolino Ramenacciu, per porta Rosello; i terreni del convento di Santa Maria, per porta d’Utzeri e porta S. Biagio. – Questi segnali li trovo in seguito menzionati in diversi documenti, e talvolta col nome di Crocifissi.
Un bando del 1557 ordina: «che nessuno getti immondezze (arga) dentro città; ma bensì fuori di Porta, dove sarà messo il segnale dal Castaldo Nicola Pilo – sotto pena di soldi 5». – Come vedesi, l’uso era stato continuato per oltre tre secoli, e continuò per altri tre! Poiché questa ordinazione la trovo ripetuta per lungo tempo. È inutile aggiungere che, anche qui, era questione di privilegi o di preferenze che si volevano usare a persone distinte.
Nell’Agosto del 1825 i Cappuccini supplicano il Municipio di riparare la strada del loro convento, e di togliere il fetido letamaio ch’era di fronte alla porta Macello, poiché rendeva pericolosa la passeggiata.
Apprendo da una lettera del Governatore in data 17 Agosto 1838: che coloro i quali trasportavano l’ immondezze fuori di porta dovevano premunirsi di un biglietto che rilasciava l’Ufficio Comunale. Ora avvenne, che per togliersi al fastidio di richiedere il biglietto, ognuno preferiva di tenersi le immondezze in casa, con pregiudizio della salute. Il Municipio, allora, supplicò il Governatore perché lasciasse libera l’uscita anche ai pagliericci che si vuotavano fuori di porta, massime nella stagione estiva, e così pure di dare ordini alle sentinelle ch’erano di guardia alle porte della città, perché non chiedessero i biglietti se non per i soli rottami, sopprimendoli per le immondezze.
Nel Febbraio del 1845 il Municipio lamenta l’abuso del gettito delle immondezze e della paglia dei pagliericci sugli stradoni di circonvallazione, ed anche in vicinanza alle Porte, e supplica il Governatore perché le sentinelle sorveglino. Anche l’anno seguente si prega il Governatore d’incaricare i soldati di guardia, della sorveglianza delle immondezze. Povera dignità militare!
Nelle case
Dentro casa non si stava meglio che nelle vie e fuori di porta. Daremo alcune notizie per curiosità.
Leggo in una nota di spese fatta dal Municipio per la venuta in Sassari del Viceré De Aragal, nel Gennaio del 1557: – «Pagati soldi 4 e 8 danari ad un manovale che lavorò tutta la giornata (!) per togliere il fango (su ludu) da inanti sa domo de Mossen Gavino Sassu». Ma perché a spese del Municipio? Forse Mossen Gavino era un Consigliere Comunale, e voleva togliersi il fango dalla propria casa a spese dei suoi concittadini!
1626 (Luglio). – Si trasportano venti carradas (carichi) di mundissia dall’atrio o cortile della Casa di Città. Nell’anno seguente lo stesso Municipio paga quattro facchini, per trasporto delle immondezze dai locali dell’Archivio!
Il 26 Settembre 1844 si ordina di chiudere il portico della casa del marchese Boyl, per evitare il continuo gettito delle immondezze che vi facevano i vicini. Parrebbe impossibile ma è così. Fin dopo il 1848 tutti i portoni di Sassari erano veri letamai, ed i cittadini erano sordi ai continui incitamenti delle autorità tutorie, per tener puliti gli ambienti. Il letame non destava ribrezzo, poiché le stalle erano quasi tutte adiacenti ai portoni. E come mai poteva destare ribrezzo, se gli ortolani lo chiedevano per ingrassare i loro orti e le verdure che dovevano alimentare la popolazione?
1848 (Agosto). – Si costringono con un bando tutti i cittadini a pulire i portoni, i vestiboli ed i magazzini delle proprie case. Fra gli altri si fa pagare una multa ad un ufficiale di piazza per il lezzo spiacevole del suo portone.
Bandi e provvedimenti
Innumerevoli pregoni si pubblicarono in ogni tempo per ottenere un po’ di pulizia, ma quasi sempre senza un buon risultato. Ne indicherò alcuni.
Abbiamo altrove notato come i Consiglieri del Comune non trascurassero la pulizia di Rosello, proibendo severamente con bandi e ordinazioni ai militari, alle serve, ed altre persone, di lavare i panni sporchi sotto i dodici càntari o scaricatoi.
I sassaresi ritenevano antichissima la fonte di Rosello, tanto è vero che verso il 1602, quando sul cornicione della facciata fu collocata la statua d’un vecchio sdraiato, che con la destra si appoggia ad una conca da cui sgorga un getto d’acqua, quella statua fu battezzata per il re Comita (non so con qual fondamento) credendo sul serio che questo Giudice, bastardo o figlio legittimo, fosse l’autore di Rosello… o il fondatore di Sassari.
Questa credenza si mantenne fino ai nostri giorni. lo credo che lo scultore abbia voluto rappresentare, nel vecchio barbuto, il corso d’un fiume. Per quanto strana, la tradizione popolare potrebbe avvalorare la dimora fissa o temporanea dei Giudici di Torres in Sassari.
1754 (17 Giugno). – Pregone (mandamiento) perché tutti i giorni festivi i cittadini hayan de barrer (spazzare) las calles (vie) tenendole limpias – e così pure tutte los domingos a la mañana (le domeniche mattine). Proprio come nel 1294, e fino al 1848!
1775 (19 Settembre). – Si pagano Ls. 1.10 a Francesco Boncoiu e ad Antonio Cagafusi per travoni da collocarsi nei luoghi del gettito dei rottami e terra delle fabbriche. Questo Cagafusi, forse un ricco impresario, passò in proverbio, ed è ricordato ancora oggi.
1780. – Nei capitoli di Castalderia di quest’anno, ed anche del 1790 (scritti in sardo), abbiamo molte prescrizioni per la nettezza pubblica. Nella introduzione è detto: «Essende, non solamente utile, però necessaria pro conservare sa salude de sos habitadores de sa presente cittade sa limpiesa de sas carreras, ecc.». Fra le ordinazioni sono queste: di non gettare dalle finestre arga, ledamen, terra, abba, lixia, o atera cosa; – di non lasciar scorrere per le vie le feccie dell’olio, e del vino mosto, se non in giornate di forte pioggia (in tempus de piena); di spazzare il tratto di strada dinanzi alla propria casa durante l’estate (in dies estivos); di non bruciar paglia nelle vie, ecc. ecc.
E così continuano los capitulos di pulizia, con saggi provvedimenti degni dei tempi moderni. E’ notevole la frequente citazione che in essi si fa dei capitoli degli Statutos de sa cittade de Sassari del 1294: – prova evidente che fi-no al 1790 si conoscevano, si consultavano e si citavano. Ci spiega perché molti usi del secolo XIII e XIV vennero sì a lungo conservati.
1783. – Trovo in quest’anno due pagamenti fatti nei mesi di Maggio e Giugno per togliere le imondissie dalle strade della città. La spesa complessiva, in due volte, non ascese che a Ls. 25!
1806 (1 Aprile). – Il trombettiere civico Ambrogio Cadeddu «fa pregone nei luoghi soliti e consueti, dando ad intendere a tutti generalmente, senza eccezione di persone, che debbono tener limpia ogni rispettiva strada, trasportando fuori di città le immondizie ed i rottami, sotto la penale di due scudi»!
1837 (24 Gennaio). – Il Municipio prega il Viceré perché vengano concessi quindici forzati e cinque guardie-ciurme per il trasporto del letame ed altro – cioè, tre forzati ed una guardia per ogni carretta in ciascuna delle cinque parrocchie. Offre il prezzo di 35 scudi al mese, con obbligo ai forzati, seralmente, della manutenzione e riparazione delle strade di circonvallazione. Era questo il primo passo nella civiltà delle immondezze!
1840 (31 Gennaio). – Il Consiglio degli Edili, deplorando lo smodato gettito in tutte le vie, delibera d’impostare (sic) in diversi quartieri della città, tre pattuglie composte di una Guardia Civica e due soldati di ordinanza, allo scopo di multare tutti quelli che osassero praticare il getto di qualunque sorta di brutture, nelle contrade canalizzate, con penale di 5 lire la prima volta, e del doppio, e più, per i recidivi. Ben inteso che nelle vie senza canalizzare si poteva gettare di tutto! Si possono immaginare le seccature che questi ordini davano alle pattuglie, specialmente ai poveri sergenti ed ufficiali, i quali brontolavano, mortificati del nuovo incarico, poco militare, a cui erano destinati.
1848 (10 Agosto). – Si costringono, con bando, tutti i cittadini, indistintamente, a «tener monda la porzione di via fronteggiante la propria casa, nonché i portoni, vestiboli, magazzini ecc.». Dopo tanti studi e nuovi sistemi, si era tornati alle prescrizioni statutarie del 1294. Nientemeno!
1849 (4 Settembre). – Si fa una nuova ordinanza: «Temendo fortemente che lo straordinario e insopportabile sudiciume, di cui vedonsi ingombre le piazze e le vie pubbliche, gli anditi ed i pianerottoli (!) delle case, possa dare origine nella stagione calda al malaugurato sviluppo di malattie endemiche ed epidemiche, il Consiglio Sanitario ha incaricato il Consiglio del Comune di formarsi apposita Commissione, nominando per la sorveglianza trenta cittadini, divisi a gruppi di cinque per ciascuno dei sei rioni». Si era ricorso a una Guardia Nazionale, giacché coi militari non si era riusciti a frenare le immondezze!
Chi avrebbe pensato che sei anni dopo (nel 1855), la città di Sassari doveva pagare così cara la trascurata sua nettezza? Eppure è così. Se attentamente si esaminano le cause della mortalità del disastro fatale, esse fanno tutte capo a quelle ordinazioni trascurate, e a quella sporcizia in cui i cittadini vivevano tranquillamente e pacificamente.
Gettito dalle finestre
L’articolo 70 degli antichi Statuti stabiliva, che nessuno poteva gettare acqua, od altro, dalla finestra, prima del terzo squillo della campana del Comune, e dopo aver gridato per tre volte: ti guarda! E questo grido, fin quasi al 1835, era stato sostituito dal famoso da sottu! anche oggidì mantenuto in proverbio.
L’uso continuò per un buon pezzo, e l’acqua sporca (chiamiamola così!) fu ben spesso causa di litigi e incidenti di ogni genere, poiché le parole da sottu! si pronunciavano dopo, e non prima del gettito fatale.
Continua il gettito
Nei Capitoli di Castalderia del 1789-1790 si proibisce di gettare acqua, lisciva, od altra cosa dalle finestre o dalle porte – sotto pena di due scudi di multa, e di pagare le vesti macchiate, se l’acqua cadeva sulle persone che transitavano.
1835 (Settembre). – Il Municipio ricorre al Governatore implorando una provvidenza per l’abuso del gettito di acque sporche dalle finestre, anche da rispettabili cittadini. Nell’Ottobre s’impone una multa di L. 20 a Don Carlo Cugia (ex Governatore di Sassari!) per immondezze buttate dall’alto; il Cugia non vuol pagarla, e si ricorre al Governatore, accusando il cavaliere che non vuol pulire il vicolo in cui trovasi una casa di sua proprietà.
1840 (Giugno). – Si proibisce il getto dell’acqua nelle vie canalizzate, ma si permette in quelle da canalizzare, purché si gettino dalle porte, non dalle finestre. È chiaro, che le acque sporche gettate dalle porte recano meno danni ai passanti di quelle gettate dalle finestre, quindi molto saggia l’ordinazione!
1842 (Maggio). – Il Municipio chiama insufficienti le L. 500 che ha stanziato in bilancio per la nettezza pubblica, ed inutili le altre L. 87,10 che paga ogni mese all’impresa.
Ma che cosa dovevano fare i poveri cittadini? O buttare l’acqua sporca sulla via, o tenersela in casa. Ci volevano i canali di spurgo per riparare all’inconveniente – e i canali di spurgo vennero!
1835. – Sotto il Governatore Crotti, e per interessamento del Marchese Boyl, vennero prese energiche misure per impedire il gettito delle immondezze entro città e fuori. Si cominciò a pensare ai sospirati canali.
Nel 1838 viene portato a compimento il canale di spurgo nella Carrera longa; nel 1842 se ne progetta altro fino alle Appendici, con la spesa di L. 18.000; nel 1850 si ha quello della via S. Chiara; e così, nel periodi di pochi anni, le principali arterie della città erano munite di canali, la maggior parte per do-manda e suppliche degli abitanti nelle singole vie.
La parola da sottu! non si era più sentita dal 1830, ed i medici si recavano tranquilli a far visita ai loro ammalati senza timore di aver macchiato l’abito, come nel 1754 era accaduto al loro collega dott. Aragonese, per colpa della balia della Baronessa di Sorso!
Io potrei dare altri cento esempi, sulla indolenza e trascuranza della popolazione a seguire i reclami di chi la incitava a lavarsi la faccia, ma credo d’averne detto già abbastanza.
A volo sulla nettezza
Veramente questo volo sarebbe stato più opportuno sulla sporcizia; ma ho fatto il possibile per abbreviare la strada al lettore, pubblicando una ventesima parte degli appunti da me presi sulle immondezze, di cui si occuparono in ogni tempo i Governatori, più che i Consiglieri Comunali.
Riassumerò brevemente i fasti della nettezza nel periodo costituzionale – nei tempi cioè più civili, e più puliti!
Nel 1856 (dopo il cholera) il Municipio fece una convenzione col mastro muratore Salvatore Calvia, il quale si obbligò del trasporto delle immondezze per mezzo di quattro carrette (una per quartiere) mediante la somma di L. 4.080 all’anno.
Poco tempo dopo, l’impresa fu assunta da Ignazio Mereu, il quale nel 1864 venne sciolto dal contratto. Nello stesso anno cinque ortolani si offrirono per rilevare il Mereu dall’impegno assunto, obbligandosi di impiegare sette carrette nella nettezza della città, al prezzo di L. 1.200 annue cadauna (L. 8.400).
Lamentandosi «la poca pulizia delle vie con danno dell’igiene pubblica e a scapito del decoro della città», il Municipio, nel 1866, stipula una convenzione con tre ortolani; i quali provvedono sette carrette, ricevendo in compenso L. 1.320 per cadauna, oltre il concime a loro benefizio (L. 9.240). – Si era dunque fatto un passo avanti!
Nel 1868 l’appalto venne dato a Filippo Capecchi, romano, per L. 18.000; ma egli non tardò a sciogliersi dal contratto.
Verso il 1872 l’impresa fu assunta da Carlo Mayer e C. di Livorno per L. 30.000. Questa ditta costrusse un’apposita palazzina con vasti cortili, in vicinanza al Giardino pubblico, e tenne la gestione per oltre un decennio.
L’impresa passò nel 1883 a Luigi Senatori di Livorno, per lire 24.000; il quale aveva rilevato per L. 446 tutte le carrette, i cavalli e gli attrezzi, già passati in proprietà del Municipio.
Le spese erano rilevanti, ma la pulizia della città poco soddisfacente; tanto che un Consigliere, in seduta del 14 Dicembre 1882, propose di ritornare al sistema antico; quello cioè di obbligare i proprietari delle case a spazzare il tratto della loro via – proprio come ai tempi della Repubblica, nel 1295! – Per fortuna la proposta venne respinta.
Più tardi l’impresa della nettezza pubblica fu concessa a Giovanni Zunino per L. 17.000; ma scaduto il termine del contratto (verso il Novembre del 1902) egli non volle rinnovarlo, pretendendo L. 24.000. – La gestione venne allora tenuta in economia dal Municipio; ma dopo un anno fu ripreso dallo stesso Zunino per L. 17.000 – somma ben modesta in confronto alle L. 30.000 che si spendevano nel 1873.
Vedete il progresso! Fino al 1800 la Città non spendeva un centesimo per la illuminazione e la nettezza pubblica, ritenute quasi inutili; oggi spende, per l’una e per l’altra, circa L. 50.000 all’anno – la rendita cioè del capitale di un milione.