La Pescheria
Non risulta dagli Statuti del 1294 qual fosse il posto fisso assegnato ai pescivendoli per vendere il pesce (el pescado); sappiamo solo dall’articolo 68, che essi dovevano venderlo nella stessa giornata che lo portavano in Sassari; che era loro vietato di venderlo in casa; e vendendolo non dovevano star seduti, né appoggiati a nessun posto. Questa legge, diventata consuetudine, anche oggi è mantenuta; e pare fosse la stessa per molti comuni italiani. Trovo la stessa disposizione negli Statuti di Viterbo del 1251.
Il mercato dei pesci fu separato da quello della carne nel 1541, quando si chiusero i portici, nei quali i pescivendoli vendevano la loro merce; allora uno stesso luogo servì per i pesci e per la carne. È un fatto, però, che i pescivendoli passavano dall’uno all’altro posto, come rileveremo dalle seguenti note.
1633. – In quest’anno si fece una Piscateria nella muraglia, vicino ai magazzini della Frumentaria; ma due anni dopo (nel 1635) si deliberò di venderla all’incanto, destinando il ricavo al pulimento del porto di Torres. Nell’Aprile dello stesso anno si cedette a Baingio Pilo de Angelina, per Ls. 207, la Piscateria che la Città aveva sopra la Carneceria (cioè nella parte superiore della via); e questo ci dimostra che era in vicinanza del Macello.
1687. – Un Pregone Municipale del Novembre proibisce ai venditori del pescado di non più vendere i pesci nel solito posto (nella calle mayor, ossia Corso), ma bensì nella Carra grande, sotto pena di quattro scudi ai contravventori. Non contenti del cambio di locale, i pescivendoli ricorsero al Governatore; il quale ordinò che si continuasse la vendita en la porche de Paliacho, e non nella Carra per gli inconvenienti che si erano verificati.
Nel Marzo dell’anno seguente (1688) i pescivendoli si lamentano che nella Carra il pesce soffriva per la inclemenza della stagione; e allora il Municipio li rimandò al portico di Pagliaccio, dove anticamente i pesci si vendevano, con proibizione però di portarsi di là al patio de cotinas (piazza Castello).
1695 (4 Marzo). – l pescivendoli si lamentano che non hanno tiendas serradas (botteghe chiuse), né possono impedire la ressa del pubblico, specialmente quando sono sprovvisti di pesce; «onde accade, che i compratori si gettano all’improvviso sulla merce, si impossessano del pesce a viva forza, e i più se ne vanno senza pagare». – Il capo Giurato propose di aprire una porta murata che era vicina al palazzo di Don Gio. Pilo Passamar (allora abitata da Sebastiano Caponi) per costrurre nel patio interno tante tiendas ad uso dei pescivendoli, come quelle della Carneceria.
1709 (Giugno). – I Consiglieri uscenti ricordano ai nuovi eletti gli atti coattivi effettuati l’anno precedente contro Gio. Maria Andura, per aver venduto el pescado en el portal (portone) del salon del Castillo della Inquisizione. (Pare che i pescivendoli andassero in cerca dei portici per evitare il sole!).
In una carta del 1761 trovo menzione della casa del Duca in Piazza Grande, nel luogo detto Pischetteria, dove abita Salvatore Mundula. Forse trattavasi del Portico di Paliacho.
1771 (Febbraio). – Pregone: – «che tutti i viandanti che trasportano il pesce dalle Saline, o da altro posto, lo portino direttamente alla Casa del Consiglio, né vadano a venderlo per le case, pena quattro scudi, un mese di carcere, e la perdita del pesce».
1785 (15 Febbraio). – Il Governatore Rovera scrive al Municipio: «I reclami frequenti per la distribuzione dei pesci, che attualmente si fa sotto la Loggia del Palazzo Civico, mi obbligano ad ordinare che in tal posto il pesce più non si venda; ma la vendita si faccia nella pubblica piazza – sotto pena del meritato castigo a chi osasse commettere atti di prepotenza». 1792. – Si pagano Ls. 163 a mastro Antonio Eschintu, in acconto di due casotti che andava costruendo nella piazza della Carra per lo smaltimento del pesce.
1798. – In quest’anno si spendono Ls. 296 per rastello, o steccato, da farsi alla pubblica Beccheria per la vendita del pesce.
1802. – Si dà l’appalto per le riparazioni al muro di cinta, dove si vende il pesce, al di dentro della città.
1825. – Venne concessa per Ls. 625 l’impresa della costruzione di un palazzotto attiguo al nuovo mercato e nuova Pescheria fuori Porta Rosello. Nell’anno seguente si fa un nuovo telaio di ferro. Nel 1827 si fanno spese per disfare la Pescheria vecchia.
1840. – In quest’anno si stanziano in Bilancio Ls. 1.700 per l’accrescimento della Pescheria.
E finalmente venne dato ai pescivendoli un posto stabile, donde più non si mossero. La Pescheria condivise le sorti del Macello – ed entrambi rimasero nello stesso locale per lunghi anni, fino ai nostri giorni.
Pescivendoli
Dei pescivendoli ho già parlato abbastanza, e ben poco ho da aggiungere. Dirò solamente che, in generale, essi erano ribelli, insolenti, e sovratutto screanzati. I sassaresi erano ghiottissimi dei pesci, e perciò i venditori ne abusavano.
Oltre i pescivendoli fissi, si avevano i viandanti del pesce, i quali andavano a venderlo nei paesi vicini.
1779 (6 Febbraio). – Il Consiglio delibera di frenare gli abusi dei viandanti del pesce, rilevando che essi lo vendevano con raggiri nei villaggi, portandone a Sassari una piccola porzione; oppure lo portavano direttamente ai conventi ed ai monasteri, dove lo pagano quasi al doppio del prezzo fissato (?). Si compilano alcuni capitoli per disciplinare i pescivendoli, obbligandoli a sbarcare il pesce in certi punti delle spiaggie, o porti, per poi consegnarlo ai viandanti di fiducia della Città, prescrivendo a questi la strada da percorrere per portarlo a Sassari.
1780. – La pesca dei pesci soleva farsi dai napolitani e camogliesi che venivano ogni anno nei mari di Portotorres. In quest’anno vi erano sole 5 gondole camogliesi per la pesca; ma i pescatori volevano ripartire, per il basso prezzo del giarretto, che non potevano vendere più di un soldo la libbra quando era grosso, e a 4 cagliaresi quando era piccolo. Allora il Municipio deliberò, che si vendesse a un soldo e 8 cagliaresi il grosso; ed il piccolo (detto fregaglia) da 4 cagliaresi a un soldo. Per il pesce fino si lasciò intatto il prezzo stabilito fin dall’anno 1631, di circa due soldi la libbra. (Oggi il prezzo medio è di centesimi 50 la libbra, cioè a L. 1,25 il chilo).
Fra tutti i mercati, quello dei pesci fu in ogni tempo il preferito e il più attraente per i sassaresi. Una vera ghiottoneria! Anche per i signori più distinti era una smania, un’abitudine e quasi un lusso, correre al mercato nelle ore dell’arrivo dei pesci, per essere i primi a scegliere i più squisiti; ed i fortunati, senza bisogno di serve, se lo portavano a casa sopra una foglia di cavolo, mostrando al pubblico con aria di trionfo la conquista fatta delle triglie d’oro, dei pagelli d’argento e dei capponi d’oro. E questo fino ai primi del secolo scorso, verso il 1820. Abbiamo altrove veduto come i Consiglieri del 1785 avevano permesso ai pescivendoli di vendere il pesce nella loggia della Casa Comunale, certamente col proposito di poter essere i primi a far la scelta, non appena arrivate le ceste da Portotorres, da Castelsardo, da Alghero.
Pescivendolo screanzato
Il 26 Luglio 1850 il Municipio fa un rapporto all’Intendente. Esso scrive: «Certo Francesco Furesi, pescivendolo, mentre nella pubblica pescheria accudiva alla vendita del pesce ed altro frutto di mare, senza alcun proprio ribrezzo, e senza alcun riguardo alla concorrente calca di compratori, emetteva immodestamente da parti modeste (?) certi sonori ed ammorbanti rumori, dai quali rifugge il senso, rozzo sia o delicato, d’ogni civile e pulita persona…». – La lettera continua sullo stesso tono pudico, soggiungendo che il Furesi fu più volte ripreso ed ammonito, ma tuttavia continuò nell’indecente condotta, allegando quella libertà che è propria del porco. Si ordinò il suo arresto: fu chiuso in prigione per tre giorni; ma il Municipio non è ancora soddisfatto, e chiede all’Intendente che lo screanzato pescivendolo sia differito all’Autorità giudiziaria, perché gli faccia il processo. E’ chiaro che il pescivendolo Furesi aveva interpretato a modo suo la libertà costituzionale, largita due anni prima dal re Carlo Alberto.
Ho voluto riassumere il rapporto municipale per dare una idea dei modi inurbani e insolenti dei pescivendoli, e delle continue lagnanze contro di essi. Il segretario comunale avrà sudato una camicia per scrivere quella lettera al pudico Intendente, a nome del magnifico e non meno pudico Magistrato Civico!