A giudicare dalla fitta presenza dei caffè tutt’attorno al triangolo, il cuore della città era Piazza Azuni: sul lato destro, salendo dal Corso, il Caffè Corradini che fu poi Andry e più tardi la «gabbia» di Sechi; sul lato sinistro il Caffè Bossalino, che aveva conosciuto i dibattiti della Sassari risorgimentale, e subito sopra il Caffè Mortara, e, sotto, il Caffè Roma che funzionò anche come café chantant, alcova della dolce vita sassarese. In Piazza Castello, il Caffè Sassarese (con tanti che ce n’erano, dovevano avere anche l’imbarazzo dei nomi) che divenne poi l’Ofelleria di Antonio Martini; una sua figlia, Bastianina, sposò il tempiese Domenico Musu: la loro figlia Marisa, scomparsa qualche tempo fa, è stata un’eroina della Resistenza romana.
Se dovessi fare io la mostra dei caffè che ho conosciuto, cominciando sempre dallo sbocco del Corso in Piazza Azuni, comincerei proprio dalla «gabbia»: si chiamava così per l’ampio padiglione a vetri aperto davanti all’ingresso. Frequentato quasi da soli uomini, aveva una parata di biliardi: un giorno che Giommaria Sechi, il proprietario, aumentò la tariffa, Nino Capitta, icona della goliardia sassarese degli anni Cinquanta, organizzò uno sciopero dei giocatori, con un paio di gentili energumeni che sconsigliavano l’ingresso ai clienti. Di Giommaria era anche il Caffè Novecento, all’angolo con la piazzetta del Rosario: aveva un arredamento di tavolini rotondi, con le tovaglie fermate da un cerchio di metallo; lo frequentavano le signore degli ufficiali del presidio, eleganti copie delle signorine Grandifirme disegnate da Boccasile.
Sui portici di Piazza d’Italia si apriva il Caffé Abbondio, dove gli artisti sassaresi venivano a giocare a carte e Mario Paglietti disegnava con la matita splendidi quadretti sul marmo dei tavolini. All’altro capo c’era Rau, tempio dei giocatori di picchetto e di mariglia. Su, in fondo alla Piazza d’Italia, anche da Pirino si giocava a carte, sempre in stretti cunicoli aggettanti sulle toilettes. Dall’altra parte, su via Roma, Agnesa era famoso per la gran mostra di paste e caramellati della domenica, e negli altri giorni per la carambola e le boccette in cui i fratelli Berlinguer celebravano i loro primi trionfi. Quando s’approssimò la seconda guerra mondiale alle nove di sera facevano le prove dell’oscuramento, spegnendo tutte le luci della città per cinque minuti.
In quei cinque minuti un famoso atleta balzava nel bar e ne usciva con la camicia gonfia di paste prima che si riaccendessero.
Manlio Brigaglia (tratto dalla Nuova Sardegna del 22 dicembre 2011)